Le nomine Rai e la constituency storica dei partiti di centro – sinistra.

di Biagio Fusco – In questi giorni di frenetica concitazione di impegni, i quali si susseguono in concomitanza ad un dibattito connotato da toni elevati dai ranghi serrati dei vari schieramenti delle forze in campo, lo scenario della politica, a livello nazionale, mostra all’attenzione di tutti indistintamente, addetti ai lavori, giornalisti, cittadini etc., temi di rilevante pregnanza.

Su tutti, le nomine nell’ambito del servizio di informazione pubblica di Monica Maggioni al Tg1, Gennaro Sangiuliano al Tg2 e Simona Sala al Tg3 con Mario Orfeo indirizzato verso la direzione Approfondimento.

Si tratta per ora di mere proposte elaborate dall’A.D. Carlo Fuortes ai consiglieri, in vista del prossimo già programmato c.d.a. Ai vertici direttivi del Gr Radio ci sarebbe Andrea Vianello, cui si avvicenderebbe Paolo Petrecca Rainews.

Carboni, Maggioni e i soliti litigi tra partiti

A questo punto è scattata puntuale ed inevitabile una lite tra i partiti, che non fa che gettare ombre sulla genuinità ed imparzialità dell’informazione italiana, non soltanto quella riferita alla politica internaNello specifico, il Movimento ha insistito per la nomina di Carboni che, ad oggi senza incarico, sarebbe preferito alla Maggioni.

Quest’oggi l’azienda pubblica di Viale Mazzini sarebbe fortemente animata anche dalle fibrillazioni dalcuni consiglieri, i quali denunciano uno scarso coinvolgimento nella selezione delle opzioni tra le quali dover scegliereIl punto chiave di svolta è certamente la riunione del prossimo c.d.a. che si terrà a Napoli,nell’ambito del quale, una volta vagliate nel merito, le varie proposte di nomina provenienti dall’A.D., in caso di maggioranza dei due terzi, incontrerebbero il parere vincolante del c.d.a.

Lconstituency storica dei partiti di centro  sinistra.

La politica, però, attraverso il punto di vista di suoi autorevoli analisti ed osservatori si interroga anche in ordine ad un’altra questione, non meno saliente, ovvero sulle nuove sorti della socialdemocrazia in ambito europeo e nazionale.

socialdemocratici, e con essi i partiti di centro  sinistra, sembrano nuovamente avanzare in alcune regioni d’Europa, probabilmente venendo fuori dal declinante torpore dell’ultimo ventennio.

Lo scorso 14 ottobre, infatti, il leader laburista Jonas Gahr Støre è diventato premier di Norvegia, tra poco Olaf Scholz diverrà Cancelliere in Germania. In Italia, alla luce dei risultati delle ultime tornate amministrative si può concludere che le urne abbiano riconsegnato ad esponenti socialdemocratici la sindacatura delle grandi Città.

Il compromesso socialdemocratico

Agli osservatori il dato non è sfuggito, tant’è che, ritornando un po’ indietro nel tempo, con precisione storica ai tre decenni post  bellici, quando la socialdemocrazia costituiva la ampia maggioranza della popolazione, si era addirittura giunti in un certo qual senso figurato a siglare il cosiddetto compromesso socialdemocratico, così definito dal sociologo tedesco  britannico Ralf DahrendorfDi tale negoziato politico avevano beneficiato gli strati più deboli della società ed i cui interessi erano senza dubbio quelli meno protetti; effetto riflesso ulteriore di questa stagione politica, nuova, è stata anche la contemporanea promozione di una economia di mercato più vivace.

Nel nord Europa, dove quel compromesso aveva maggiormente attecchito ed affondato le sue radici storiche, la tutela rivolta ai ceti più deboli si era espressa attraverso politiche sociali, quali il welfare universalistico, mentre la spinta economica si era attivata con le politiche industriali, frutto di convenzioni bilaterali tra le principali organizzazioni portatrici di interessi. Un sistema di fiscalità progressiva, gestita da uno stato efficiente si era tradotto nello strumento per mantenere in equilibrio crescita economica e redistribuzione dei redditi.

Secondo l’opinione di Olaf Palme, premier socialdemocratico svedese assassinato nel 1986,

occorre nutrire la pecora (il capitalismo) se si vuole tosarne la lana con cui coprire chi sente freddo (i ceti deboli)”

Quel compromesso storico politico è entrato in corto circuito negli anni Ottanta e del secolo scorso, e poi allorquando la globalizzazione neoliberale dei successivi anni Novantainaugurata dalla fine della Guerra Fredda, ne sdradicò le basi sociali.

Il corto circuito degli anni ‘80

L’apertura incondizionata dei mercati cambiò l’equilibrio tra capitale e lavoro, favorendo il primo e sortendo effetti propulsivi come l’innovazione tecnologica ma anche distorsivi come l’aumento delle diseguaglianze. La pressione degli interessi, in special modo sindacali, ha ridotto la efficacia della socialdemocrazia al livello di governance nazionale.

Se è vero che il compromesso socialdemocratico fu possibile nello stato nazionale e grazie allo stato nazionale, è altrettanto vero che esso non poteva più sopravvivere in un mercato allargato e in società aperte che uno stato non poteva più contenere. La prospettiva nazionale ha condizionato i partiti storicamente ispirati alla socialdemocrazia. Nella trattativa politico in corso oggi nello stato tedesco finalizzata a dar vita al nuovo governo, il futuro cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz ha sostenuto che il Patto di stabilità e crescita non dovrà essere cambiato dopo la pandemia, essendosi dimostrato “ abbastanza flessibile per accomodare urgenze e differenze”.

La socialdemocrazia supporta l’integrazione in termini sovranazionali, ma la sua visione resta nazionale e per tale ragione non comprende in maniera miope il vizio capitale che è causa del suo declinoAndare al governo non basta a frenare la fine storica di un partito, motivo per il quale il nuovo “ compromessosocialdemocratico “, per potersi implementare, dovrà avere una base europea, essendo evidenti i limiti ed i vincoli dello stato nazionale (Michele Salvati e Norberto Dilmore).