L’autore di oggi che non si rivolge a quello degli “anni 2000”

di Leone Melillo – L’attenzione si sofferma sul disegno di legge, presentato dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, letto dal Prof. Massimo Villone e, quindi, sul Coordinamento per la democrazia costituzionale, da lui presieduto.

Una riflessione che attraverso una nota, che è stata diramata dallo stesso Coordinamento, plaude ad una “proposta di legge di iniziativa popolare”, che vuole “modificare l’articolo 117 della Costituzione”, per “consentire una limitata e giustificata variabilità dell’autonomia regionale, espungendo però gli elementi che la rendono potenzialmente pericolosa per l’unità del Paese“. Affermazioni che evidenziano anche una chiara contestazione del disegno di legge Calderoli. Una motivazione che induce a soffermarsi su “un estratto delle dichiarazioni dell’allora Sen. Villone, risalente agli anni 2000”. Una possibilità comparativa evidenziata dallo stesso Sen. Calderoli.

Il Ministro rammenta come il Sen. Villone si attardasse, già allora, sulla possibilità della “riforma”, per comprendere se “mette a rischio il Paese, la sua realtà unitaria, l’Italia nella quale, bene o male, quasi tutti – ma vorrei dire tutti – ci riconosciamo, con tutti i difetti e le carenze, ma anche la sua storia e il significato che ha per ognuno di noi”.

Il Sen. Villone affermava, quindi, “che il Mezzogiorno non teme la riforma. Il Mezzogiorno sa vedere chi davvero tutela i suoi interessi”, per cui anche la “maggioranza” [risalente agli anni 2000] non doveva “avere paura” della “riforma”. “Ogni cambiamento – prosegue la trascrizione di quanto affermato dal Prof. Villone – comporta difficoltà, ma il cambiamento è necessario, bisogna governarlo, bisogna orientarlo con prudenza e saggezza, mai averne paura”.

Una lettura che sembra evidenziare, quindi, che l’autore di oggi non si rivolge a quello degli “anni 2000”.

Una possibilità che Vittorio Emanuele Orlando avvertiva, attraverso un suo saggio, attardandosi sullo “sviluppo della scienza italiana di diritto pubblico”, rispetto ad una sua “prima affermazione”.

La riflessione deve soffermarsi – con Orlando e l’Assemblea costituente – sull’“istituto originario”, “che precede lo Stato”, come per esempio, il comune, la città. Nessuno penserà che Roma esista, perché la Costituzione italiana la riconosce, e quello che si dice di Roma si può dire di qualunque comune: forme di vita collettiva, che sorgono naturalmente, originariamente. Lo Stato le disciplina, ma non le crea; esse dunque sono originarie. Di queste stesse “regioni”, che creiamo, talune ‒ non tutte, forse ‒ hanno una radice, indubbiamente, originaria; ossia nel tempo precedono lo Stato” (23 aprile 1947).

Una riflessione risolutiva che sembra rammentare, anche ai detrattori dell’operato di Roberto Calderoli, il “motto veneziano”: “pezo el tacón del buso (peggio la pezza del buco)”. Lo stesso motto che il siciliano Vittorio Orlando rammentava all’Assemblea costituente.

Ancora un’avvertenza, che rivolgo però all’avventore. Questa “persona” spesso attrae per un “margine d’ignoto”, “che investe chi egli sia, che cosa ci faccia lì”.

Bisogna, infatti, evitare di ispirare la “storiella” della “tigre” condannata dal “leone”, perché ha accolto il confronto sulla possibilità che l’erba sia “blu”. In questo caso, “ci consiglia come comportarci con tutti coloro che pretendono di avere ragione”.