
La storia continua imperterrita a riaffiorare dalle fondamenta del nostro passato. Ma puntualmente viene occultata. Un nuovo sito archeologico è venuto alla luce in via Pablo Neruda, a pochi passi dal cantiere dove si sta costruendo la stazione del rione San Marco che collegherà con la stazione Tav di Afragola e la linea della metropolitana. In un fazzoletto di terra di appena 5000 metri quadrati, situato nelle traverse al confine tra Afragola e Casalnuovo, i tecnici della Soprintendenza archeologica di Napoli sono tutti impegnati nello scovare quanti più reperti possibili per dare una collocazione storica ai ritrovamenti.
A colpo d’occhio, si potrebbe tranquillamente pensare a un borgo dell’età del Bronzo. Non si può nemmeno escludere la presenza di qualche casolare di epoca romana, già venuto fuori in altri scavi realizzati nella zona. Ma saranno i tecnici della Soprintendenza a stabilirlo. Della nuova testimonianza parla l’architetto Paolo Sibilio: “Un altro piccolo insediamento tardo-antico. Un’altra testimonianza del nostro passato che dimostra come questi territori siano stati, sotto il profilo economico e produttivo, parte integrante della Campania Felix. Un cosmo di piccoli villaggi nell’età del Bronzo, prima. Una costellazione di ville rustiche romane, poi. Uno sviluppo interrotto dalla furia distruttiva del Vesuvio e, peggio ancora, dall’oblio.
Questo dovrebbe essere il nostro retaggio, il nostro futuro. Invece tutto si copre.” Questo ritrovamento non è altro che l’ennesima prova di una zona facente parte del circondario Afragola-Acerra-Casalnuovo, abitata da nativi dell’età del Bronzo. Il primo vero villaggio trovato ad Afragola, risalente all’età del Bronzo Antico, ovvero a più di 1500 anni fa, venne alla luce durante i lavori per la costruzione di una rete fognaria nella zona di via Capomazzo, nell’ambito dei lavori della linea ferroviaria. Di quel villaggio, la cui scoperta risale a una ventina di anni fa, il soprintendente di allora lo ritenne un “unicum in assoluto” in Campania, vera testimonianza di come vivevano i nostri antenati. Su questo prestigioso ritrovamento furono scritti addirittura due libri in inglese (poiché le ricercatrici vennero addirittura dall’Inghilterra) per visionare il sito, in quanto ritenuto di elevata importanza storica per la presenza di attrezzature per la caccia, l’agricoltura, nonché la presenza di capanne e fossili di animali.
Vi erano anche le impronte nella cenere bollente dei nativi per sfuggire all’eruzione del vulcano. Adesso, invece, è una discarica di rifiuti a cielo aperto e l’insediamento è stato sventrato da una fogna. Il tutto a pochi metri dalla stazione dell’Alta Velocità. Nel frattempo, a pochi passi da questo sito, ne sono stati trovati altri due, finiti entrambi nell’oblio. La domanda che tutti si stanno ponendo adesso è la seguente: questo sito, come tutti gli altri, sarà occultato alla cittadinanza? Nessuno risponde. I diretti interessati non hanno mai voluto parlare di queste nuove testimonianze. Non solo: ad alcune domande poste anche da studiosi locali e associazioni, non hanno mai voluto proferire parola. Meglio coprire con teli di plastica di colore bianco per poi decidere cosa fare. Tanto, per i “cosiddetti esperti”, ci sarà tempo per capire cosa fare di tutta questa storia che cerca disperatamente di venire fuori alla luce del sole.




