Bernardini de Pace: ‘Una class action’. Meloni: ‘Disgustata. Massima fermezza con i responsabili, senza sconti’. L’avvocata: ‘Chiederemo i danni a Facebook per il gruppo Mia moglie’.
La caccia ai siti sessisti ormai è nelle mani delle Procure, che ora indagano su chi, per ottenere clic, ospita sui propri siti immagini ‘rubate’ di donne, celebri e comuni, e su chi le commenta in modo osceno se non proprio minaccioso.
La procura di Roma è in attesa di una prima informativa da parte della Polizia Postale, che ha già avviato le sue ricerche per risalire a chi gestisce le piattaforme, ma anche per identificare chi postava le foto e gli autori dei commenti sessisti e offensivi.
A quel punto i magistrati romani potranno aprire un fascicolo, ma le denunce e gli esposti sono tanti e tali, in tutta Italia, che anche altre Procure si affiancheranno per perseguire queste realtà di internet neanche troppo sommerse. Per questo le fonti che stanno indagando stanno lavorando su una stretta su server e provider con possibili limitazioni su chi fornisce i servizi digitali. L’intento è colpire chi fornisce questi servizi limitandone le attività per evitare nuovi episodi di furto di foto per inserirli in contesti sessisti e offensivi. Il monitoraggio di server e provider è comunque sempre attivo.
A Genova intanto sono già arrivate segnalazioni di donne che si sono riconosciute nel gruppo Facebook ‘Mia Moglie’, quello da cui è partito lo scandalo. Una attivista del capoluogo ligure, nel giorni scorsi, aveva scovato sulla pagina numerosi concittadini: poliziotti, militari, medici, dirigenti sanitari, avvocati, insegnanti, docenti universitari. Tutti iscritti al gruppo in cui si ci scambiava immagini delle proprie consorti da esporre, senza consenso, agli occhi di estranei. Alcun utenti si erano protetti con l’anonimato ma tanti, che non avevano avuto l’accortezza, con il salire del clamore mediatico si sono affrettati a cancellarsi, pare anche previa richiesta di denaro, episodi che se accertati potrebbero far aprire nuovi fascicoli di indagine.
“Sono disgustata da ciò che è accaduto, e voglio rivolgere la mia solidarietà e vicinanza a tutte le donne che sono state offese, insultate, violate nell’intimità dai gestori di questo forum e dai suoi ‘utenti” ha affermato la presidente del consiglio Giorgia Meloni in un colloquio con il “Corriere della Sera”.
Bernardini de Pace: ‘Una class action per tutte le donne ferite’
Da Milano l’avvocata familiarista Annamaria Bernardini de Pace, ha lanciato una class action contro Facebook. Nessuna risposta, finora, da Meta. Secondo il presidente dell’Unione Camere Penali Francesco Petrelli, contattato dall’ANSA, una parte lesa ora può innanzitutto “sperare di ottenere che i gestori eliminino al più presto dai rispettivi siti e social le immagini che costituiscono un danno per la persona offesa, perché questo costituirebbe il minimo ristoro sotto il profilo dell’interruzione delle condotte illecite e dei riflessi di danno”.
Si tratta comunque di una materia complessa, anche per gli avvocati: “L’irruzione delle tecnologie digitali accompagnata all’uso sempre più massiccio e indiscriminato e semplice e agevole dell’IA pone un problema di conoscenza di quegli strumenti e del danno che un uso libero e sconsiderato di quei mezzi può determinare. La conoscenza da sola non basta per difendersi e difendere. Da quella conoscenza nasce la consapevolezza della inadeguatezza degli strumenti di difesa. E’ facile e demagogico dire ‘inaspriamo le pene’, ‘introduciamo un reato’. Credo molto poco in questa materia – aggiunge – all’utilità dello strumento penale repressivo. Soprattutto in questo campo contano sicuramente più l’educazione e la cultura, sia a livello individuale che collettivo, e poi bisognerebbe riflettere, strada in salita, su strumenti di controllo nell’ambito della gestione di questi strumenti, che noi sappiamo costituiscono tuttora nonostante una terra di nessuno”.
Non ci sono infatti solo gli utenti. L’altro lato delle indagini riguarda chi c’è dietro a questi siti. Ha lasciato una risposta on-line, prima di autocancellarsi dal web, il gestore del famigerato Phica.eu, che raccoglieva su un forum immagini di donne sia comuni che celebri – c’era anche la premier Giorgia Meloni – che poi venivano commentate, coi toni che si possono immaginare, da centinaia di utenti.
Stando agli analisti di intelligence Valerio Lillo e Lorenzo Romani – la loro indagine è stata riportata oggi da Repubblica – Phica.eu sarebbe riconducibile alla Hydra Group Eood, una società con sede legale a Sofia in Bulgaria con un giro d’affari sopra il milione di euro l’anno a fronte di un capitale sociale di soli 50 euro. Il proprietario sarebbe un italiano. La Hydra sarebbe una ‘società di consulenza’ secondo i registri bulgari, ma il collegamento con Phica sarebbe stato accertato grazie a un complesso lavoro di ricerca tra scatole cinesi societarie che ha toccato la Francia, la Spagna e il Regno Unito per arrivare a Sofia, dove nello stesso edificio hanno sede legale quattro società, tutte intestate alla stessa persona.