“Sulla mia pelle”: la storia di Stefano Cucchi

L’associazione culturale di Afragola “Casa Del Popolo”, ha messo a disposizione la sua struttura nella serata di ieri, per la visione del film “sulla mia pelle”.

Questo film, sebbene abbia riscosso molto successo su Netflix, non è presente in nessuna sala italiana. E questo ha suscitato molte polemiche, perché la storia vera da cui è tratto il film non può e non deve essere dimenticata.
Dalle polemiche, poi sono state adottate delle soluzioni per renderlo più visibile: così si sono unite scuole, università e associazioni del nostro paese, proprio come “casa del popolo” di Afragola. Munite di proiettore, hanno permesso a tantissime persone di visionarlo e questo è diventato un beneficio per il film stesso.
Da quando sono state promosse queste iniziative, l’incasso è cresciuto notevolmente, ed è stato, finora, di oltre 240mila euro.

La trama del film è incentrata su una pagina di cronaca nera italiana.
Stiamo parlando della storia di Stefano Cucchi, giovane geometra romano, che venne fermato la sera del 15 ottobre 2009 dai carabinieri con l’accusa di possesso e spaccio di sostanze stupefacenti come hashish e cocaina. Venne in seguito decisa la custodia cautelare, e fu processato il giorno dopo con rito direttissimo.
In tribunale, Stefano non riusciva a camminare e presentava evidenti ematomi agli occhi. Il giovane aveva subito violenza dalle forze dell’ordine, ma – in quell’occasione – scelse di non dire nulla al padre, con cui parlò pochi attimi. Nonostante le precarie condizioni, il giudice stabilì una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e stabilì inoltre una custodia cautelare al carcere di Regina Coeli.
Ciò che avvenne dopo è agghiacciante: le sue condizioni peggiorarono sempre di più, venne visitato all’ospedale Fatebenefratelli presso il quale vennero messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (inclusa una frattura della mascella), all’addome (inclusa un’emorragia alla vescica) e al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale). I genitori tentarono di fargli visita più volte, ma non ci riuscirono mai.
In seguito tornò in carcere, luogo in cui le sue condizioni raggiunsero il massimo livello di preoccupazione.
E così Stefano Cucchi morì all’ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009, e pesava solamente 37 chilogrammi. La famiglia ebbe notizie di Cucchi quando un ufficiale giudiziario si recò presso la loro abitazione per notificare l’autorizzazione all’autopsia.

Il processo è durato tantissimo, ma alla fine, anche in seguito all’impatto sull’opinione pubblica, scaturito dall’impegno di Ilaria Cucchi (sorella di Stefano), qualcosa è cambiato.
Il 17 gennaio 2017, alla conclusione delle indagini preliminari, venne chiesto il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità nei confronti dei militari dell’arma Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, accusati di aver colpito Cucchi con schiaffi, pugni e calci, facendolo cadere e procurandogli lesioni divenute mortali per una successiva condotta omissiva da parte dei medici curanti, e per averlo comunque sottoposto a misure restrittive non consentite dalla legge.

Il 24 febbraio 2017 sono stati sospesi dal servizio tre carabinieri.
Il 10 luglio 2017 sono stati rinviati a giudizio cinque carabinieri.

Questa è una storia straziante e angosciante.
La parte più brutta, è che non c’è niente di finto.
La realtà non è stata alterata neanche un po’, perché era già abbastanza tragica.
E non bisogna nasconderla, ma mostrarla, perché nel nostro paese c’è anche questo.
Consigliamo a tutti una seria visione del film, e magari un sano dibattito in seguito, com’è stato proposto nell’associazione di Afragola che ne ha ospitato la visione.