Cosa ci resta di queste elezioni europee?

Vige l’era dei lanciafiamme, della xenofobia, della paura. L’epoca della disperazione appoggia l’estremismo e le sue ripercussioni. L’indomani delle elezioni europee il palcoscenico italiano si presenta alle porte di Bruxelles con il caposquadriglia Matteo Salvini e la sua Lega con il 34,33% dei voti. Un peso politico che ha segnato in maniera significativo sul pendio dell’ago della bilancia. Le politiche sovraniste mirate ai porti chiusi e alla tutela patriottica hanno convinto gran parte del paese. La Lega non appartiene più al solo Nord, perché il pensiero che li contraddistingue ha influenzato il centro Italia e parte del Sud.

LE PERCENTUALI

Umbria, Toscana (crolla il muro del 30%), Emilia Romagna, regioni rosse per antonomasia, bollate dal partito del Ministro degli interni. Riace – comune contrassegnato dalla vicenda del sindaco Mimmo Lucano – Lampedusa, e il 19,2% di media voti ottenuti al Sud (Lazio e Calabria primo partito), evidenziano un successo su scala nazionale. Resta sempre valido attenersi all’astensione del 44% del paese? Un punto di domanda che diventa alquanto emblematico considerando le percentuali che seguono. La Lega ha ottenuto 9,1 milioni di voti, 7,5 milioni in più rispetto alle passate elezioni continentali e 3,5 milioni di voti in più rispetto alle politiche di un anno fa. Il Partito Democratico si attesta al secondo posto del podio con il 22,69% con 6 milioni di voti all’attivo, ma i votanti calano siano rispetto alle europee del 2014 (11,2 milioni di voti) sia alle politiche del 2018 (6,1 milioni di voti). Forza Italia non rispetta le previsioni del 10% e, l’altra grande sorpresa, Fratelli d’Italia, capeggiata da Giorgia Meloni, balza dal 4% a sfiorare il muro del 7%.

LA CADUTA LIBERA DEI PENTASTELLATI

Il tonfo significativo è rappresentato dal Movimento Cinque Stelle che cede la seconda piazza delle preferenze degli elettori. Dal 22% dei sondaggi effettuati al 17,07% nella realtà odierna. Un dato sconcertante se pensiamo che hanno ottenuto 4,5 milioni di voti ma 1,3 milioni di votanti in meno rispetto alle europee del 2014 e ben 4,9 milioni in meno rispetto alle politiche del 2018. L’astensione ha influito? Probabile, anche perché 21 milioni di italiani sono restati a casa. Ma in base alle analisi dei flussi elettorali realizzati da Demopolis si scopre che 1 milione e 700 voti ottenuti dal M5S alle politiche dello scorso anno sono confluiti nel partito di Matteo Salvini. Una casistica basata su 100 elettori che votarono il Movimento il 3 marzo del 2018 si scopre che solo 43 hanno confermato il voto. 37 gli astenuti, 16 hanno votato Lega e 4 il Pd.

SALVINI STAR E UN MOVIMENTO DA RICOMPORRE

Un risultato che, in realtà, ha destato poche sorprese. Matteo Salvini ha propagandato con fierezza la sua priorità per il popolo italiano. Decreto sicurezza, con 3/4 degli sbarchi profughi ridotti rispetto alla scorsa legislatura, ha dato garanzie a parte dell’Italia dalla perenna paura dell’uomo nero. Ma soprattutto una voce grossa nei confronti dell’Europa, una sfida continua ai burocrati della finanza europea e ai loro diktat restrittivi nei confronti del nostro paese. Il suo percorso è chiaro, ricostituire i patti stabiliti in passato con il parlamento europeo di Bruxelles e dare man forte al popolo. Insomma, Salvini, seppur al governo da più di un anno, continua a impersonare fonte di opposizione. La caduta del M5S è forse dovuta proprio a questo. Rientrare in un’area moderata non ha pagato. Oscillare tra sovranisti e globalisti si finisce col rimanere nella terra di mezzo, dove poi risulta facile cadere. Se il Movimento Cinque Stelle ha intenzione di ricomporre la propria ossatura, e ridare vita alle proprie ideologie, deve prendere una posizione ben definita. Ritornare a contatto con la gente comune, organizzare collegi provinciali e ridare garanzie a quell’elettorato che non ha sentito il dovere di presenziare al proprio seggio per confermargli fiducia.

UN FUTURO INCERTO

Come se non bastasse, il governo giallo verde è ancor più sotto l’occhio del ciclone. Al capo chinato di Luigi Di Maio risponde forte il risanamento (o presunto tale) guidato da Nicola Zingaretti e il picco dei flussi dei voti europei in consegna a Giorgia Meloni, PD e FDI tornano all’attacco. C’è chi spinge e c’è chi flirta. Matteo Salvini è l’obiettivo comune. Consigliato e corteggiato al solo scopo di tornare alle urne per dar vita ad un nuovo governo. Il leader della Lega, d’altro canto, continua a giurare fedeltà agli alleati grillini e al contratto di governo. Un patto che durerà altri 4 anni, ribadisce, ma noi siamo pronti a crederci?