Coronavirus Mutazione

Il Coronavirus è mutato in tre forme, ecco come è giunto in Italia

Il dottor Peter Forster, genetista e autore principale dell’Università di Cambridge con il suo team di ricerca ha ricostruito i primi percorsi evolutivi del Covid-19 mentre l’infezione si diffondeva da Wuhan, in Cina, verso l’Europa e il Nord America.

Secondo il genetista, il virus muta molto rapidamente e questo rende difficile la creazione di un albero genealogico per ricostruire la sua “famiglia”. Così è stato utilizzato un algoritmo matematico per visualizzare simultaneamente tutti gli alberi plausibili. Il team ha utilizzato i dati dei campioni prelevati da tutto il mondo tra il 24 dicembre 2019 e il 4 marzo 2020. Hanno trovato tre varianti distinte, ma strettamente correlate, di Covid-19, che hanno chiamato A, B e C.

I ricercatori hanno scoperto che il tipo di coronavirus più vicino a quello scoperto nei pipistrelli – il tipo A – era presente a Wuhan, ma non era il tipo di virus predominante della città. Versioni mutate di A sono state osservate negli americani che hanno vissuto a Wuhan e un gran numero di virus di tipo A è stato trovato in pazienti dagli Stati Uniti e dall’Australia. Il principale tipo di virus di Wuhan era B ed era prevalente nei pazienti di tutta l’Asia orientale, tuttavia non viaggiava molto oltre la regione senza ulteriori mutazioni.

La forma principale presente in Europa è quello di tipo C. L’analisi ha suggerito che una delle prime introduzioni DOCUMENTATA del virus in Italia è avvenuta il 27 gennaio, attraverso un cittadino tedesco. Ma un’altra fonte di infezione è stata certificata da Singapore. Ovviamente questa ricerca si basa su pazienti certificati come affetti da Covid, ma questo non esclude che nelle regioni settentrionali il virus sia arrivato prima del 27 gennaio.

La variante A, più strettamente correlata al virus trovato in pipistrelli, è descritta dai ricercatori come la radice dell’epidemia. Il tipo B deriva da A, separato da due mutazioni, quindi C è a sua volta una “figlia” di B, secondo questo studio. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS).

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L’attitudine del coronavirus a mutare può anche incidere sui tempi di realizzazione di un vaccino. Il motivo lo spiega perfettamente Rino Rappuoli, microbiologo italiano attualmente direttore scientifico e responsabile della attività di ricerca e sviluppo esterna presso GlaxoSmithKline (GSK) Vaccines, in un’intervista rilasciata a ScienzaInRete.It lo scorso mese di marzo:

Essendo un virus a RNA, come quello dell’influenza, che quindi tende a mutare più facilmente, sarà necessario sviluppare vaccini sempre diversi?

Difficile rispondere adesso. Dalle osservazioni compiute finora, questo virus muta ma non come quello dell’influenza. Quindi gli scenari sono due: o il virus non muta abbastanza e si può usare sempre lo stesso vaccino, oppure se muta è possibile con le tecnologie attuali adattare abbastanza rapidamente i vaccini alle mutazioni, come facciamo con l’influenza.