ristoratore afragolese

La lettera di un ristoratore afragolese: “Io non apro perchè non ne ho la possibilità”

È dura, dopo il via libera del governatore della Regione Campania, ripartire solo per il delivery per i piccoli ristoratori. Stamattina ci è arrivata la missiva di un esercente afragolese che ha deciso di non aprire perchè il rapporto tra ricavi e spese sarebbe insostenibile solo con l’asporto:

 

Come da ordinanza della Regione Campania, ci siamo preparati. Lo abbiamo fatto secondo le regole, troppo speso difficili da interpretare (come se le regole toccasse interpretarle), che sono state dettate dal Presidente De Luca e dal suo Pool di esperti.

Masaniello, credendo di aver vinto, ha piegato il suo popolo. Corsi e ricorsi storici, nostro malgrado. Aprirei una piccola, ulteriore, parentesi, così come si dice a Napoli: Giocchino mettette ‘a legge e Gioacchino fuse appis’ (mi scuseranno i napoletanisti, ma non saprei scriverlo meglio). Buon intenditor poche parole.

Ci siamo preparati. Lo abbiamo fatto secondo le regole. Sanificazione dei locali effettuata da azienda specializzata nel settore, abilitata a rilasciare una certificazione quantomeno credibile, non per forza utile, men che meno necessaria. Premessa inevitabile: si potrebbe anche prendere in considerazione il “ma tanto chi vuoi che controlli”, “quando vengono poi se ne parla”, ma non è il nostro caso. Partiamo dall’assunto che, una volta fatta la regola, questa andrà rispettata, ognuno come crede, è evidente.
Non che non fosse giusto ripristinare la salubrità dei locali, sia chiaro, ma in coscienza: da cosa sarebbe da sanificare un locale chiuso da 60 giorni? Dal CoronaVirus? Suvvia.
Il prospetto costi generali per la ripartenza lo valuteremo in seguito. Tant’è!

Abbiamo interpellato il medico di riferimento per ottenere il fantomatico “certificato” di idoneità al lavoro (al tempo del Coronavirus). Oltre ad aver dovuto raccogliere, noi per lui, le informazioni necessarie a quale tipo di certificazione fosse necessaria (senza alcun tipo di controllo strumentale o sierologico), abbiamo registrato la sua richiesta ECONOMICA. Quanto ci ha chiesto lo valuteremo nel computo finale. Abbiamo provveduto ad acquistare i prodotti specifici per la sanificazione quotidiana, come se fossimo esperti in materia ed abilitati all’utilizzo. Chiaro che non siamo addetti al settore, ma pare che, dopo, basti lavare i pavimenti con un detergete specifico et voilà il Coronavirus non c’è più. Ovvio che i prodotti specifici, professionali, con “certificazione”, non costano quanto l’Alba Pavimenti (che usiamo a casa per l’ottima profumazione). Altrettanto ovvio che i prodotti specifici non si limitano ai pavimenti, ma c’è bisogno di un detergente per le superfici, un altro per le stoviglie, un altro ancora per le strumentazioni. La questione economica la valutiamo più avanti.

Capitolo DPI (dispositivi di protezione individuale). Mascherina, guanti, copriscarpe, camice monouso. Il mercato dei DPI è il business del momento, era chiaro sin dall’inizio. Mascherine vendute come monili d’oro, guanti che arrivano a costare quanto una 75cc di Moet, copriscarpe che nemmeno al Cardarelli sanno cosa siano, per poi arrivare alla nota dolente.

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IL CAMICE MONOUSO. Introvabili come Carmen SanDiego, inavvicinabili nei costi, qualora qualcuno (sottobanco) ne avesse disponibili. Costi esorbitanti che, inevitabilmente, spingeranno al “riutilizzo” anziché all’usa e getta. Fosse altro che trovarne più di qualcuno sembra impossibile.
Valore procapite della dotazione minima personale lo mettiamo nell’analisi finale. Ok. Tutto pronto si può ricominciare. Lunedì 27, dalle 16.00, possiamo accedere al locale. Senza considerare l’impossibilità di riavviare una produzione in poche ore (impasti, linea di banco per i condimenti, temperatura forno, salumeria etc.) entro le 22.00 dobbiamo chiudere battenti.

Facciamo due conti. Tanto con i numeri siamo bravi tutti. Preso in considerazione il valore degli interventi “sanitari” necessari alla ripartenza, valutata l’incidenza quotidiana dei DPI per gli operatori, messo nel computo generale le esigenze di “risanificazione quotidiana” con prodotti specifici, tenuto conto della perdita degli ammortizzatori sociali, la riapertura a queste condizioni ha costi inaccettabili.

Aggiungiamo a questo che il potenziale di lavoro è ridotto (se tutto va bene) al 25%, ma che è più plausibile una stima al 15%, la domanda sorge spontanea: quante pizza/caffè/cornetti (etc.) dobbiamo produrre, quotidianamente, per coprire le spese vive?

Quante “consegne a domicilio” (uscite in gergo) dobbiamo fare per rientrare nei costi? Quante prenotazioni possiamo accettare in un arco temporale di circa tre ore? (immaginiamo che la prima consegna la si possa fare alle 19.00, nel caso delle pizzerie) Ecco. Appunto. Ammesso e non concesso che il volume di richiesta rimanesse uguale a quello di “prima del LockDown” a quanto dovremmo vendere una Margherita/Caffè/Graffa (etc.)? Senza considerare che gli operatori bardati di tutto punto non avranno la stessa capacità di operare di sempre. Immaginiamo un Pizzaiolo lavorare con un camice monouso in TNT (non traspirante) di fronte ad un forno che va a 450/500°?

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Quindi? Quindi #IoNonApro, #IoRestoAcasa, con gli ultimi spicci per la sopravvivenza, magari i 600€ che non sono arrivati per tutti e, perché no, con i 2000€ che il Presidente De Luca ha promesso. Io non Apro per rispetto dei 60 giorni in cui sono stato chiuso. Per rispetto del sacrificio che ho ed abbiamo fatto tutti fino ad ora. Io non ho chiesto a nessun Masaniello di tutelare i miei interessi, per quello (volente o nolente) mi sono fidato dei governanti DEMOCRATICAMENTE ELETTI. Gli avrei chiesto, altresì, di sincerarsi delle condizioni di ripartenza, di mettersi a capo della “rivolta” anche dopo, non solo prima per poi abbandonare il “suo popolo” in balia dei “certificati”. Io non apro, non perché non ne abbia bisogno, ma semplicemente perché non ne ho la possibilità. Non ho la possibilità di sostenere ulteriori costi senza la, benché minima, possibilità di ripartire a regimi accettabili. Sarà un problema, d’altra parte lo è da qualche mese, immaginare di riprendere senza un minimo sostegno al lavoro. Sarà impossibile sostenere i costi di “prima del LockDown”.

#IoNonApro, forse rischio di non farlo più ed allora sarà un problema ancora più grande. Intorno a qualsiasi azienda, grande o piccola come la mia, gira un indotto altrettanto grande o piccolo come il mio. Collaboratori senza lavoro, fornitori senza clienti, proprietari di immobili senza fitti. #IoNonApro e rispetto chi lo farà. Apprezzo il coraggio, ma aspetto ordinanze migliori.