Paolo Sorrentino Oscar

“Un’Eccellenza Italiana made in Naples…Paolo Sorrentino “

di Biagio Fusco – E’ stata la mano di Dio ” è una pellicola certamente autobiografica che alla maniera felliniana glorifica il caos e sublima la gioia della adolescenza. Perché Paolo Sorrentino sta a Fellini come le Muse stanno ai Poeti.

Il regista napoletano, con questo che dalla critica cinematografica internazionale, prima ancora che da quella di casa nostra, è recensito come la sua fatica più bella ed intensa, torna a parlare della sua Città e lo fa a distanza di qualche decennio dal suo primissimo esordio dietro la macchina da presa, attraverso i simbolismi tipici che esprime un luogo “ (Napoli) alquanto generoso in fatto di immaginazione e memorie.

Ricorrendo ad una tipologia di dialoghi che rivelano generosità,imperfezione, disequilibrio, tumulto di emozioni e schietta sfacciataggine ripercorre la sua vita da adolescente smisurato e divertito, che possiede una cieca fiducia nella vita sino a quando non battezza il suo ingresso in quella adulta, dove però conosce il suo punto di frattura con un evento devastante, la morte dei propri genitori.

Ecco, sullo sfondo c’è una Napoli pagana ed in primo piano la sua famiglia ai tempi della prima adolescenza, il tutto accompagnato da schemi filosofici e metafore culturali di chiaro stampo dantesco, dalla presenza di Maradona salutato al suo arrivo in città come la discesa celeste di una divinità e poi da lui, il mito, Federico Fellini, surreale vagabondo per le vie della metropoli partenopea in cerca di comparse, a cui “ Fabiettoguarda con ansimante e languido desiderio quasi precorrendo in modo immaginifico nella sua mente il futuro da brillante regista di cinema.

E’ stata la mano di Dio, probabilmente o senza dubbio, a guidare Paolo Sorrentino fino a Roma, affinchè potesse coronare il suo “ sogno nel cassetto “ e consacrarsi come il più bravo di tutti, ma in questo film autobiografico tradisce una incapacità di confrontarsi con il trauma e la sofferenza, precipitato logico e compassionevole di un profilo caratteriale reso fragile dal dolore della perdita, quella dei propri cari, che lo spinge ad un eccessivo indugiare in allegorie sceniche inutilmente ridondanti e dalle forme dialogiche fin troppo esplicite.

Tutto ciò fa in modo che il film diventi – come ricorda la critica – uno sforzo intimo, magico ed essenziale del regista di trovare in un racconto commovente una sintesi tra tutti i legami familiari e non familiari, da quelli persi e poi ricuciti a quelli volutamente sciolti e poi ripresi, spaziando in un unico ambiente nel quale,senza confondersi, ognuno è collocato al posto che gli spetta, dalla identità individuale alla personale elaborazione del lutto e del dolore, sino alla vivida rappresentazione della sua Città, Napoli, che lo aiuta a far funzionare il voluto gioco cinematografico che si instaura tra temi da commedia e temi da tragedia trattati con la giusta ed equilibrata alternanza tra momenti vissuti ad elevata intensità e battute esilaranti.

Il cuore pulsante dell’intera rappresentazione è nella comparsa del dolore scaturito dall’imprevisto dramma personale e familiare, un Mostro che avanza in maniera sorda e travalicante, che pervade l’anima al punto da trasformare le emozioni in una entità non gestibile, e che si sgretola nel fragore di una risata disperata ed intontita di un bambino che indossa goffamente una montatura di occhiali che evidentemente non gli è stata scelta con cura.

In quella risata però c’è tutto quanto il sapore acre e genuinamente veritiero della filosofia napoletana di vita, non quella spicciola, superficiale, bensì quella che viene fuori dalle pulsazioni del cuore provato dalle sofferenze.

Eh sì – come si dice qui da noi a Napoli – la vita è un morso !! ”, benchè in fondo sia tenue come un fiore che talora è reciso con la nettezza e la rapidità di un taglio, per questa ragione poi cosa ci resta se non ridere per riappropriarci della vita che ci circonda e che è dentro di noi.

E’ vero anche questo, è sufficiente una risata per riconsegnarci agli affetti, ai progetti ed alle relazioni di prima.

Insomma, il film è sospeso a bassa quota tra fiction e realtà, e la tragedia che è in sottofondo si muove in un proscenio da mozzafiato, Napoli, una città che non ha bisogno di sovrastrutture per essere narrata, arriva dritta al cuore di ciascuno di noi nel suo incedere pur tra le sue non trascurabili contraddizioni.

Di livello è senza ombra di dubbio la fotografia del film, una scelta indovinata vista la location che meritava, senza tema di errore, un genio della materia, capace di ritrarre dinamicamente il piccolo Fabio che passa dall’adolescenza semplice e malinconica, fatta talvolta di momenti di autentica introversione ed isolamento fino alla rinascita decretata dalla sua folgorante passione per il cinema che esplode in un vero e proprio delirio.

Si tratta con ogni probabilità di un percorso che conduce il regista a liberarsi dal proprio dolore consegnandolo alle maschere del cinema in un racconto surreale mescolato talora al sacro salvifico, talora al profano, e lì imprigionandolo per sempre attraverso il tocco di una superiore arte visiva.

Non Disunirti, o nostra bella Napoli !

Mf Porte Casoria