Filippo Iazzetta, cognato dei Moccia potrebbe essere scarcerato nei prossimi mesi: poco credibili, secondo la difesa, le accuse del pentito.

Clan Moccia, chiesti oltre 250 anni di carcere. I Pm: “La cosca non si è mai estinta”

Operazione Vortice – L’inchiesta era partita dalla scoperta di un giro di usura ed estorsioni. Dopo i primi arresti di alcuni affiliati alla criminalità afragolese, le testimonianze dei collaboratori di giustizia hanno permesso agli inquirenti di ricostruire una pianta organica del clan Moccia, con nomi, ruoli e attività illecite. Una struttura piramidale molto complessa, con a capo boss che, in omaggio al loro carisma, venivano chiamati “senatori”. Un gruppo malavitoso dedito soprattutto alle estorsioni, che mirava al controllo capillare del territorio di Afragola, Casoria e Arzano, attraverso l’imposizione del “pizzo” a commercianti e imprenditori.

Moccia a capo di una “federazione” di clan: anche 12 imprenditori al loro servizio

1983 le pagine di inchiesta che ricostruiscono un potere criminale – quello dei Moccia – strettamente legato a imprenditoria e politica. Secondo gli inquirenti i fratelli Antonio, Luigi e Angelo Moccia e il cognato Filippo Iazzetta sono, anche da detenuti, “vertici assoluti e indiscussi del clan”.

La rete di affari con politica ed economia

L’inchiesta – che abbraccia un arco temporale che va dal 2015 al 2018, con accertamenti fino al 2019 – dimostrerebbe insomma che il clan continua a essere “una delle più potenti e pericolose organizzazioni camorristiche nel panorama nazionale, con radicamento nei territori della provincia napoletana e una forte strettissima relazione con altri gruppi mafiosi tanto campani che nazionali”, in grado di stringere patti con l’economia e la politica “per operare profittevoli investimenti dei capitali illeciti” nell’economia legale e non.

Nel corso del tempo, i Moccia sono diventati una confederazione di singoli gruppi criminali locali, dotati ciascuno di loro di una propria competenza territoriale, e guidati da un senatore, storico affiliato di rango del clan. Sopra di loro il coordinatore delle articolazioni territoriali, che gestisce la cassa comune ed è nominato dal gruppo dirigente della cosca, praticamente composto dalla famiglia Moccia (prima dalla vedova del boss fondatore Angelo, Anna Mazza, morta nel 2018 e ora dai suoi quattro figli Angelo, Luigi Antonio e Teresa insieme il marito Filippo Iazzetta), i quali, seppure in modo defilato, anche perché si sono allontanati dalla Campania, continuano a dirigere la cosca.

E’ il processo per l’omicidio di Immacolata Capone, uccisa a Sant’Antimo il 17 marzo 2004 a tenere banco per Filippo Iazzetta. La vittima, all’epoca, svolgeva l’attività di imprenditrice nel campo del movimento terra nei comuni di Casoria ed Afragola.  Per questo delitto furono arrestati nel luglio del 2020 Filippo Iazzetta, Francesco Favella, Giuseppe Angelino. Secondo l’accusa i Moccia volevano punire la donna, perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito Giorgio Salierno, a sua volta fiduciario dei vertici dell’organizzazione. Dalle ulteriori indagini è risultato confermato il movente nella volontà del clan Moccia di «punire» la donna perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito Giorgio Salierno, a sua volta fiduciario dei vertici dell’organizzazione, e al fine di impedire il rafforzamento dei legami economici fra l’attività imprenditoriale facente capo a Immacolata Capone e clan diversi dal clan Moccia. Nel corso del dibattimento però le accuse sostenute dai collaboratori di giustizia nei confronti dei vertici dei Moccia hanno fatto emergere più di una contraddizione. Elementi fatti valere in sede di Riesame con l’annullamento dell’ordinanza per Filippo Iazzetta.

Altra vicenda ricostruita nell’ordinanza per l’omicidio Capone è l’omicidio di Mario Pezzella, fratello di Francesco ras dei comuni di Cardito e Frattamaggiore avvenuto il 17 gennaio del 2015 a Cardito. La Procura, basandosi sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ha approfondito la ricostruzione della fase decisionale che ha portato all’omicidio, e sono emersi gravi indizi di colpevolezza a carico di Iazzetta, quale mandante del delitto e in particolare quale soggetto che aveva dato l’autorizzazione per conto del clan Moccia per l’esecuzione dello stesso. In realtà tra le dichiarazioni su cui si sono accesi i riflettori spiccano quelle di Marcello Di Domenico, ex capo dell’omonimo gruppo di Nola. Un pentimento controverso il suo visto che l’ex boss nei suoi primi verbali ha tirato in ballo il fratello Ciro per poi fare ‘marcia indietro’ quando seppe della decisione di quest’ultimo di collaborare con la giustizia. Un particolare evidenziato dalla difesa che, durante il dibattimento, ha messo alle corde Di Domenico su un’altra vicenda, e cioè sui ruoli dei gruppi dell’area nord e su chi avesse potere decisionale. In un passaggio Di Domenico tira prima in ballo Iazzetta per poi specificare che per l’omicidio di Mario Pezzella, essendo stato commesso a Cardito, rispondeva il gruppo orbitante in quell’area. Tuttavia è stato evidenziato in aula come poco prima lo stesso Di Domenico abbia fatto emergere le figure di Michele Puzio (ex colonnello dei Moccia prima di pentirsi) e Giuseppe Angelino che avevano chiari interessi in quella zona.

La difesa precedentemente aveva chiesto:«Nel verbale della scorsa udienza ha detto che su quel territorio le estorsioni – e l’ha detto anche oggi – le discutevano Angelino e Puzio Michele, quindi era scoperto perché non c’era Pezzella, ma, in realtà, era già coperto dalle attività estorsive di Angelino e Puzio». Altre contraddizioni emerse e che rimandano alle modalità della gestione dei collaboratori di giustizia quelle relative al ‘doppio pentimento’ di Di Domenico che ad un certo punto ritrattò la sua collaborazione per poi riprenderla tempo dopo con la concessione di altri 180 giorni, una collaborazione durata 11 mesi in palese violazione della normativa sui collaboratori di giustizia. Sempre nel corso del dibattimento è emerso come spesso i collaboratori di giustizia siano codetenuti nelle stesse celle (quale il caso di Scafuto e di Puzio), elemento che, come evidenziato dalla difesa, può inquinare alla radice la genuinità delle dichiarazioni prima del loro esame in dibattimento. Discrepanze emerse in un processo il cui esito è ancora tutto da scrivere.

L’accusa principale per Iazzetta arriva dal pentito Di Domenico e sono state proprio le dichiarazioni del pentito ad essere utilizzate dalla Procura nell’atto di accusa. Gli avvocati della difesa nella requisitoria hanno smontato la credibilita’ del pentito e se riusciranno a convincere i giudici potrebbe cadere l’accusa e nei prossimi mesi Iazzetta potrebbe essere scarcerato perchè ha già scontato la pena per altri reati a lui ascritti.

Intanto in questi anni l’area a nord di Napoli è divenuta una giungla, con piccoli gruppi che nascono e muoiono nel giro di pochi mesi. Grande lavoro fatto dalle Forze dell’Ordine con il Commissariato di Polizia e i Carabinieri che tengono sotto la morsa continua i gruppi nascenti.

Proprio oggi a Cardito altra operazione dei Carabineiri che ha visto la partecipazione di almeno 5 pattuglie e un furgone con i Corpi speciali a volto coperto, perquisizione di un edificio tra Corso Meridionale e via Primo Maggio.

E’ ormai questioni di giorni per la sentenza che vede accusato Filippo Iazzetta che come annunciamo nel titolo potrebbe finire il carcere se i Giudici accogliessero la tesi della difesa sulla credibilita’ di Di Domenico, che negli ultimi anni aveva tentato anche il suicidio in carcere a Pisa.