Quando 120’ non bastano: i rigori protagonisti

Novanta minuti, poi altre due frazioni da 15 minuti l’una, ma se il risultato delle due squadre è ancora in parità è a questo punto che entra in scena uno dei momenti più amati e allo stesso tempo temuti di una partita di calcio: i calci di rigore. Introdotti a partire dal 1970, andarono a risolvere il problema che sorgeva in partite conclusesi in pareggio: in questi casi il risultato era deciso in maniera casuale con il lancio di una moneta, come avvenuto a Euro 1968 quando l’Italia approdò in finale grazie al favorevole esito di tale lancio dopo il pareggio contro l’URSS in semifinale. Da allora, compresa la finale dell’ultimo Europeo, sono state numerose le gare decise ai calci di rigore, un’occasione spesso considerata del tutto fortuita ma dietro la quale, in realtà, si muovono da sempre studi matematici, strategici e psicologici: tutte queste componenti sono emerse regolarmente in quelle partite terminate con la serie di tiri dagli undici metri, alcune delle quali ancora oggi difficilmente dimenticabili.

Si può prendere come esempio la finale della Champions League 2005, in occasione della quale si confrontarono Milan e Liverpool. Dopo tempi regolari e supplementari che meriterebbero una trattazione a sé stante, per la quantità di emozioni che hanno regalato, il risultato fissato sul 3 a 3 apriva le porte ai calci di rigore. Nell’occasione il Liverpool schierava fra i pali Jerzy Dudek, portiere polacco dalla carriera abbastanza anonima; eppure la sua fu una notte da protagonista, nella quale parò i rigori di Pirlo e Shevchenko. Più che le parate, ad ogni modo, a impressionare fu la sua condotta: prima di ogni tiro il portiere saltellava lateralmente sulla linea di porta coprendone l’intera estensione, allo scopo di innervosire il tiratore avversario. Una strategia psicologica rivelatasi efficace, e ispirata da un illustre predecessore: con la stessa maglia, nel 1984, lo zimbabwese Bruce Grobbelaar si esibì in un analogo comportamento nella finale di Coppa Campioni contro la Roma, riuscendo a distrarre Conti e Graziani che tirarono fuori dallo specchio. L’aspetto psicologico dei calci di rigore, d’altra parte, è emerso anche in occasione di Italia – Olanda, semifinale di Euro 2000. Nel corso della partita, disputata lungamente in superiorità numerica, gli olandesi fallirono la realizzazione di due rigori nei tempi regolamentari. Giunti alla conclusione di questi ultimi sullo 0 a 0, l’Olanda sentiva la pressione di non riuscire a segnare contro un portiere che appariva insuperabile: durante i rigori Toldo riuscì a neutralizzarne due, con un terzo finito sopra la traversa. La felice conclusione dei rigori aprì le porte per l’amara finale contro la Francia, una delusione che però non fu in grado di cancellare la storica semifinale.

Non solo psicologia: nel calcio non sono da sottovalutare le scelte strategiche dei contendenti. Anche durante i calci di rigore, d’altra parte, il ruolo svolto dalla strategia è determinante, come emerso con particolare evidenza in numerose circostanze. Un buon esempio, anche se doloroso, viene dai quarti di finale di Euro 2008, dove l’Italia reduce dal vittorioso Mondiale di due anni prima si trovò ai rigori, dopo uno 0 a 0, contro la Spagna. Il vincitore del sorteggio, Buffon, scelse curiosamente di lasciare agli spagnoli il primo rigore: una scelta insolita, in quanto realizzare per primi pone l’avversario nella posizione di inseguire. Esattamente quello che accadde: la Spagna segnò i primi tre rigori, mettendo pressione all’Italia che prima con De Rossi e poi con Di Natale fallì i propri tiri. La Spagna passò il turno andando poi a vincere il torneo, ma la circostanza è emblematica a proposito di quanto una scelta strategica azzeccata possa fare la differenza.

Infine, se non mancano studi matematici e scientifici nella ricerca del rigore perfetto, non va dimenticato come spesso i rigori consegnati alla storia siano tali per motivi molto più casuali. È il caso della finale della Champions League del 2008, giocata tra Manchester United e Chelsea: dopo un pareggio per 1 a 1 la parola passò ai calci di rigore. Qui, dopo un errore di Cristiano Ronaldo che consentì al Chelsea di portarsi in vantaggio, il capitano dei blues John Terry si trovò nella posizione di dover tirare il rigore che, realizzato, avrebbe consegnato la vittoria alla propria squadra; al momento del tiro, tuttavia, Terry scivolò calciando il proprio penalty sul palo. Un errore imperdonabile, considerato che nei tiri successivi fu proprio il Manchester United ad avere la meglio e a portare a casa la coppa, e uno scivolone anche letterale che Terry non si perdonò mai.