Oggi il Garante per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale si è recato presso il carcere minorile di Airola, nel Sannio, per una nuova visita. Qui sono ristretti, attualmente 39 minori e giovani adulti di cui 4 stranieri. Nell’istituto vi è la presenza di 43 unità di polizia penitenziaria e 4 educatori.
Nella visita il Garante è stato accompagnato dal nuovo Direttore Dario Caggia e dal suo Vice Dino Discanno, ai giovani che ha incontrato nelle sezioni a cui a regalato la guida dei “Diritti e doveri dei detenuti”.
Sono 7 i ragazzi che lavorano all’interno dell’istituto e 2 a cui è stato concesso l’art.21,lavoro all’esterno del carcere, differenti i corsi attivi per consentire una possibile rieducazione e reinserimento all’interno della società, oggi si è avuta l’occasione di vedere all’opera i ragazzi aspiranti Pizzaioli che per dimostrare di aver imparato le basi di questo antico mestiere hanno preparato qualche pizza per offrirla, questo lo slogan nel laboratorio: ”Finche c’è pizza…c’è speranza.”
Ai 39 minori qui ristretti se ne aggiungono i 60 di Nisida e i 220 presenti nelle comunità residenziali.
Il Garante dei detenuti Samuele Ciambriello, dopo la visita all’Istituto per minorenni di Airola(BN) ha fatto queste riflessioni:
<< Innanzitutto occorre selezionarli questi minori, non fare di ogni erba un fascio: ci sono quelli che evadono l’obbligo scolastico, quelli che vivono un disagio, che vivono conflitti in famiglia, che vivono un sottosviluppo economico, un vuoto culturale, di diritti negati, di politiche deboli. Ci sono i bulli che si sentono importanti e vogliono farsi notare dalla loro “comunità”.
Ci sono quelli che da questi contesti passano alla devianza, che vivono meccanismi di identificazione. Per un minore che cresce in una famiglia violenta, i modelli, i valori, le misure del bene e del giusto sono quelli che gli insegnano in casa e che spesso vede confermati fuori dal contesto delle mura domestiche.
E poi ci sono quelli che fanno il passaggio: vedono la malavita come una sorta di “comunità,sorella”,a cui sono orgogliosi di appartenere e mitizzano le figure dei boss come eroi positivi.
E poi da un po’ di tempo, nella città di Napoli più che in provincia, ecco arrivare i “baby boss”, che vogliono “volare”, sono stufi di prendere ordini, di ” strisciare per terra”, come dicono loro. Questi ragazzi hanno la morte dentro. Sono adolescenti a metà. Non hanno mai conosciuto un mondo diverso, fatto di cultura, valori, sport, affetti giovanili. Si sentono superiori ai vecchi capi della camorra. Mi chiedo: può solo il carcere essere la risposta per questi adolescenti a metà?”