Orlando Cinque è un esploratore del mondo del teatro e del cinema, amante dell’arte in tutte le sue forme, prima di essere un attore. Abbiamo avuto modo di apprezzarlo per la sua partecipazione a “Romanzo criminale – La serie”, “Sulla mia pelle”, giusto per citarne alcuni.
L’abbiamo incontrato in occasione dello spettacolo “Fronte del Porto” tenutosi al teatro Bellini e, a causa della classica stanchezza post-spettacolo, ci siamo incontrati in un secondo momento per un’intervista. Ecco le sue parole.
Recentemente sei stato impegnato al Teatro Bellini con lo spettacolo “Fronte del Porto”. Una storia ambientata in una Napoli di diversi decenni fa. Com’è stato per te lavorare con Gassman alla regia?
“Lavorare con Alessandro Gassman è stato molto stimolante e impegnativo. È stato stimolante perchè, essendo un bravo attore, spesso ti suggerisce delle cose che provengono dal suo bagaglio personale e te le mostra. Il suo approccio ai personaggi è molto istintivo, ha uno straordinario senso del gusto del pubblico e segue quello. È stato impegnativo perchè abbiamo visioni del teatro, e del rapporto tra regista e attore molto diverse, se non addirittura divergenti. Di conseguenza per me è stata una bellissima sfida, che mi ha dato tanto e mi ha fatto riscoprire un valore fondamentale per un attore: l’umiltà”.
Cosa puoi dirci riguardo il tuo personaggio?
“Il mio è un personaggio positivo e questo ha reso l’interpretazione più profonda ma anche più difficile. Bisognerebbe interrogarsi sul perchè i personaggi “cattivi” sono più semplici da interpretare. Proprio per questo l’interpretazione di personaggi buoni e positivi mi entusiasma. Questo però comporta un rischio: quello di scomparire come attore, ma sono felice di correre questo tipo di rischi. Il personaggio è bello perchè durante lo spettacolo si evolve, da indeciso a reale motore del cambiamento di Francesco, aiutato anche da Erica. La difficoltà è stata portare e dare il giusto peso ad un’etica completamente fuori contesto all’interno della storia. Non so se ci sono riuscito. Ci provo tutte le sere, ma la sfida è ancora aperta“.
Nel film “Sulla mia pelle”, hai interpretato il maresciallo Roberto Mandolini. Questa pellicola ha suscitato scalpore già prima di essere proiettata. Secondo te, quanto è importante ricordare questi avvenimenti al attraverso il cinema, le serie tv?
“È fondamentale. Il cinema deve prendersi la responsabilità di raccontare il reale, la contemporaneità. Io sono orgoglioso di aver fatto parte del cast di questo film che trovo riuscito e molto bello. Era molto difficile non rendere il lavoro come una difesa a spada tratta di una versione. Il film credo dica tutto e sia di grande spessore cinematografico, a prescindere dal valore civile e umano che rappresenta. Un film molto coraggioso, curato. La sceneggiatura prende spunto solo ed esclusivamente dagli atti del processo e da testimonianze dirette. Un lavoro durato due anni. L’attenzione sul set mi ha colpito, non ho mai trovato un clima così. Ringrazio Alessio Cremonini, una persona straordinaria che mi ha colpito sia sul piano personale e umano che artistico. C’è stata addirittura la confessione del carabiniere che ha ammesso il pestaggio, una svolta. Magari anche influenzato dal clima che si è creato attorno a questo film. Però bisogna stare attenti. I film “manifesto” o troppo “partigiani” forse non aiutano. Questo film è rimasto nel mezzo, raccontando la verità che, alla fine, vince sempre. Il nostro lavoro non ha alcun senso se non si pone il problema del rapporto della verità. Tutto questo deve essere affiancato dal lavoro e dalla tecnica, ma sempre a braccetto con la verità“.
Ci racconti un aneddoto di set?
“In genere in queste situazioni, il rapporto tra il protagonista e chi interpreta ruoli secondari che, in questo caso, sono molti, non è così “diretto”. In questo caso, invece, Borghi mi ha preso da parte e mi ha chiesto di ripetere le battute. Ci siamo messi in un angolo e in un attimo ho visto un attore trasformarsi in qualcos’altro. Era già tutto perfetto così com’era. Questa cosa non mi è mai capitata in carriera. Io quel giorno avevo solo quella scena, Borghi aveva tutte le scene della giornata, come ogni giorno. Questo dimostra che anche un talento straordinario come quello di Borghi deve essere alimentato da una professionalità e un’etica del mestiere che fa la differenza. Sono rimasto colpito da questa cosa ed auguro ad Alessandro tutto il bene e il successo che sta ricevendo“.
Restando in tema Netflix, c’è da dire che questa nuova piattaforma ha diviso l’opinione pubblica. Queste nuove realtà possono “oscurare” le sale cinematografiche e la televisione in generale. Tu da che parte ti schieri?
“È un problema complesso. Se posso vedere Netflix a casa, magari ci penso prima di andare al cinema. Ormai ci sono dei grandi mezzi per ritrovarsi a casa un piccolo cinema, dallo schermo molto grande al dolby surround. Bisogna fare in modo che Netflix e queste piattaforme aiutino al cinema. Ad esempio c’è Mubi, al quale io sono abbonato, che recupera film d’autore o film sconosciuti che normalmente perderemmo. Bisogna fare in modo, studiando bene la questione, che queste piattaforme, pagando diritti o finanziando le sale cinematografiche, ne vadano ad aumentare la qualità. Io devo avere un motivo per andare al cinema, devo trovare un ambiente più accogliente di quello che posso trovare comodamente nel salotto di casa mia. Le sale cinematografiche devono cambiare in questo. C’è, ad esempio, una sala cinematografica napoletana che ha una programmazione esemplare, ma l’ambiente è orrendo. Si potrebbe magari pensare ad una legge apposita per sgravare a livello fiscale le sale che cercano di modernizzarsi, come ha fatto il cinema “Hart”, un esempio virtuoso. Il cinema deve diventare accogliente, dove vado a fare un’esperienza visiva, ma non solo“.
Ti va di raccontarci la tua prima volta su un palco?
“La prima volta su un palco, da professionista, è stata al “Teatro della Tosse” con “Piccoli omicidi tra amici”. Ricordo la gioia, non avevo nessuna paura, solo la felicità di interpretare questi personaggi. Questa cosa negli anni si perde, perchè aumenta la paura, poi appena entri in scena ti passa. Prima di entrare, hai sempre qualcosa da difendere, soprattutto un’idea di teatro che è sempre difficile da difendere”.
Cosa puoi dirci riguardo i tuoi progetti futuri?
“Abbiamo terminato le repliche di “Fronte del porto” a Napoli, spettacolo andato molto bene, a breve comincerò le prove di “Creditori” di Strindberg, di cui firmo anche la regia, con Maria Pilar Pérez Aspa e Arturo Muselli, mio grande amico da sempre che ha seguito anche la messa in scena della prima versione di “Creditori”, portata 5 anni fa al Piccolo Bellini, dove debutteremo con questa nuova versione l’11 gennaio. Mi fa piacere riportare in scena questa “rinascita” dello spettacolo che ebbe un ottimo successo di critica e di pubblico. Questa messa in scena è solo il primo passo di un progetto su Strindberg che avrà come secondo passo una serie di laboratori tra marzo e aprile su “Il Pellicano”, opera molto complessa e affascinante. Altra cosa a cui tengo tantissimo è uno spettacolo su due atti unici di Pinter: “Notti” e “Un leggero malessere”, per la regia di Arturo Muselli. Questo spettacolo insieme a “Creditori” fa parte dello stesso progetto produttivo, con gli stessi attori, prodotto dal Bellini che ci tengo a ringraziare”.
“Credo tanto al progetto su Strindberg perchè innanzitutto si basa sull’analisi profonda del testo e sull’improvvisazione, questo porta gli attori a diventare anche autori della propria partitura scenica, più creativi e consapevoli di quello che fanno, per liberarsi anche dalla dipendenza dal regista, ruolo che ha assunto un potere eccessivo per motivi politici, economici e strutturali. I direttori dei teatri nazionali, grazie alla nuova e nefasta legge, hanno un potere inaudito, ed essendo spesso anche registi hanno la vita degli attori in mano e possono decidere chi lavora o meno, per tre anni. Tutto questo va a danneggiare tutto il mondo del teatro e se non si fa qualcosa, distruggerà la qualità del teatro. Come può il teatro nell’epoca di Netflix e, soprattutto, con queste premesse, avere la possibilità di raccontare qualcosa come si faceva molti anni fa?”