“Quando ho saputo del report mi sono passati davanti agli occhi tutti i bambini che ho seguito e amato durante la malattia del mio Antonio e anche dopo. Ho pensato a una mamma che ha iniziato il percorso di lotta con noi, dopo aver perso il figlio a 9 anni e mezzo e l’anno scorso, a 48 anni, è morta anche lei di cancro, col solo peccato di esser nata e cresciuta a Caivano. Oggi mi sento sospesa, come se non camminassi con i piedi a terra. Magari, se ci avessero ascoltato non prendendoci in giro, non dandoci delle visionarie che volevano attribuire all’ambiente la malattia e la morte dei figli, avrebbero potuto salvare tante vite“. Marzia Caccioppoli all’Adnkronos racconta una battaglia vinta e una guerra ancora da combattere.
Ma cosa spinge a una donna che ha perso il suo unico figlio a combattere una guerra che le ha già tolto tutto? “La voglia di rivalsa del mio territorio, la possibilità che altri bambini non si ammalino. Oggi, finalmente, possiamo chiedere allo Stato italiano di affiggersi sul petto quella lettera scarlatta di adulterio – incalza – Ci sono dei reati, ci sono dei colpevoli sebbene la legge sugli ecoreati, istituita grazie alla nostre battaglie, non è retroattiva. Chiedo che si approvi una prevenzione primaria, un monitoraggio almeno sui bambini e sui giovani, per capire le sostanze di metalli pesanti che fanno ammalare. Già mio marito è una vittima innocente della mafia, ferito alla femorale in un conflitto a fuoco tra clan mentre giocava fuori al negozio degli zii. I proiettili a rosa che lo colpirono quando aveva 8 anni, gli hanno causato tanti danni, per questo i suoi sogni, i suoi desideri cui aveva dovuto rinunciare erano rivolti tutti ad Antonio e anche quelli sono stati spezzati. La nostra è una sopravvivenza a un dolore enorme, tutti i sacrifici che avevamo fatto per lui in questi anni oggi li vediamo inutili. Per questo do il 100% della mia vita a questa lotta, perché io avevo solo Antonio“.