Peste suina tra Piemonte e Liguria, 114 comuni in zona rossa

È allarme peste suina in Italia, dopo i casi riscontrati su cinghiali in Piemonte e Liguria, come anche in Germania, Belgio e Paesi dell’Est Europa, anche se non è stato riscontrato alcun caso di contaminazione nella popolazione suina italiana. Tuttavia il governo corre ai ripari annunciando ristori per il settore turistico delle zone interessate e una task force interministeriale che coinvolgerà i ministeri delle Politiche Agricole, Ambiente e Sanità e le regioni interessate. Già l’altro ieri sera era arrivata un’ordinanza congiunta dei ministri della Salute Roberto Speranza e delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli per fermare la diffusione del virus con il divieto di ogni attività venatoria, salvo la caccia selettiva al cinghiale, nella zona infetta, individuata nell’area appenninica tra le province di Alessandria e Genova. Ma l’allarme coinvolge non solo Piemonte e Liguria ma si estende alla Toscana, dove è appena stata creata una task force per affrontare il tema dei cinghiali infetti che tra l’altro aumentano in maniera esponenziale, devastando il territorio. La provincia apuana in particolare è in stato di allerta.

«L’ordinanza firmata era inevitabile per rassicurare i produttori e l’export. Ora occorre senz’altro ragionare su dei ristori per il settore turistico che potrebbe essere colpito dai divieti delle zone interessate», ha spiegato il ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli. C’è anche chi ritiene necessario un commissario straordinario «per realizzare velocemente interventi coordinati tra i diversi enti coinvolti, a cominciare dalle regioni», ha spiegato il capogruppo di LeU a Montecitorio e componente della Commissione Agricoltura, Federico Fornaro. Perché serve subito, chiede il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, un’azione sinergica su più fronti. Resta tuttavia «il rammarico per un’emergenza che avrebbe potuto, con tutta probabilità, essere evitata», afferma il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Nonostante non ci sia stato ancora alcun caso di contaminazione nella popolazione suina italiana, i casi riscontrati nei giorni scorsi in alcuni cinghiali tra Piemonte e Liguria hanno attivato misure precauzionali alle frontiere di Cina, Giappone e Taiwan, Serbia e Vietnam, dove è stato dato un temporaneo stop all’import di carni e salumi made in Italy.

Le previsioni dell’impatto sul comparto disastrose: l’Associazione industriali delle carni e dei salumi (Assica) stima un danno da mancate esportazioni di almeno 20 milioni di euro per ogni mese di sospensione del nostro export. Intanto, le esportazioni italiane del settore si attestano attorno a 1,7 miliardi di euro l’anno, di cui oltre 500 milioni destinate fuori dai confini dell’Unione europea, secondo Confagricoltura. Per il fronte export comunque è stata coinvolta la Farnesina: «Abbiamo chiesto al ministero degli Esteri di prepararsi», ha detto il sottosegretario all’agricoltura Gian Marco Centinaio nell’annunciare l’istituzione di una task force ministeriale, « perché, quando è successa la stessa cosa in Germania, la Merkel era intervenuta immediatamente con tutti i Paesi importatori di carne tedesca tranquillizzandoli. Quindi chiederemo, da un lato al ministro degli Esteri e da un lato al presidente del Consiglio».

Ma non c’è tranquillità nei comuni e nelle regioni ricomprese nell’area dove è stato accertato il focolaio: 114 Comuni di cui 78 in Piemonte e 36 in Liguria, dopo i casi recentemente riscontrati. Finora sono portati all’Istituto Zooprofilattico del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta una ventina i campioni di cinghiali morti nell’area. E c’è stata la conferma ufficiale della positività per tre casi, ma sarebbero altri 4 quelli sospetti dopo i prelievi dalle carcasse di cinghiali trovati morti tra il Piemonte e la Liguria. La regione Liguria ha chiesto di attivare in tempi strettissimi un tavolo di monitoraggio con le Regioni interessate per elaborare stime dei mancati redditi e predisporrei sostegni per i settori danneggiati dal provvedimento contro la peste suina. Qui le limitazioni poste dall’ordinanza vietano nei territori compresi nella zona rossa per 6 mesi caccia, pesca, trekking, mountain bike, ricerca di funghi e tartufi. «Sicuramente c’è un problema di tipo sanitario e non è possibile sottovalutarlo ma non si può neppure bloccare tutto», commenta il sindaco di Genova Marco Bucci. Alta l’attenzione anche in Toscana, dove la Regione ha attivato l’unità di crisi sanitaria.

La sorveglianza contro la peste suina africana, considerata dagli esperti uno dei tre flagelli per la zootecnia, è attiva da anni all’Istituto Zooprofilattico di Torino, dove ogni anno vengono analizzati oltre 200 campioni di suinidi. Il focolaio ha generato molto allarme tra gli allevatori di suini in Piemonte, dove le aziende sono oltre 1.600, con oltre 1,2 milioni di capi ma diventano 3.000 considerando l’intera filiera, con un fatturato che l’anno scorso era stato stimato in 400 milioni di euro all’anno. Forti i timori anche in altre realtà. Il 7 gennaio il Centro di Referenza nazionale per le pesti suine (CEREP) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche (IZSUM) ha confermato la presenza del virus di Peste suina africana (PSA) in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel Comune di Ovada in Provincia di Alessandria, il cui genotipo coinvolto è il genotipo 2, attualmente circolante in Europ;, e che successivamente sono stati confermati altri due casi in due carcasse rinvenute rispettivamente una a circa 20 km dalla prima, nel comune di Fraconalto (AL) e l’altra nel comune di Isola del Cantone (GE);

In Liguria si temono le ripercussioni di una vera e propria chiusura dei boschi e dei monti di Genova e dei comuni liguri interessati, che potrebbe avere risvolti inediti e devastanti per molte località dell’entroterra, che vivono sul turismo escursionistico e per la vita di decine di migliaia di genovesi. Stando alla interpretazione letterale dell’ordinanza, infatti, fino a luglio sarebbero vietate le gite e le escursioni in tutto l’entroterra genovese. In linea teorica sarebbero vietate anche tutte le attività nei boschi urbani cittadini, dove migliaia di genovesi, quotidianamente, vanno per correre, camminare, portare il proprio cane a correre. Per le attività comprese dal decreto tra quelle sospese nella zona rossa ci potranno essere delle deroghe, ma per averle bisognerà passare dagli uffici regionali, che si rifaranno alle valutazioni del Centro di Referenza Nazionale per lo Studio delle malattie da Pestivirus e da Asfivirus. Insomma, un quadro caotico.

Viene ammessa la caccia di selezione, ovvero al cinghiale, che potrà essere autorizzata dai servizio regionali competenti «sulla base di una valutazione tecnica che tenga conto della natura dell’attività e delle specifiche caratteristiche dell’area coinvolta», mentre viene vietata quella generica. Nella grandissima zona rossa prevista dal governo ci sono complessivamente 114 comuni, 78 in Piemonte e 36 in Liguria. Questi sono quelli compresi nell’area metropolitana genovese: Arenzano, Bogliasco, Ceranesi, Ronco Scrivia, Mele, Isola del Cantone, Lumarzo, Masone, Serra Riccò, Genova, Campo Ligure, Mignanego, Bargagli, Busalla, Savignone, Torriglia, Rossiglione, Sant’Olcese, Valbrevenna, Sori, Tiglieto, Campomorone, Cogoleto, Pieve Ligure, Davagna, Casella, Montoggio Crocefieschi e Vobbia. Per la provincia di Savona invece sono compresi: Albisola Superiore, Celle Ligure, Stella, Pontinvrea, Varazze, Urbe e Sassello.

Per quanto riguarda le sanzioni, sono ancora da chiarire le modalità di controllo e di vigilanza sull’applicazione di questa norma, visto che nell’ordinanza vengono genericamente demandate «ai Servizi veterinari delle Aziende sanitarie locali territorialmente competenti in collaborazione con le Forze dell’ordine». Stando ad una prima interpretazione, da confermare, in assenza di altre disposizioni più specifiche si potrebbe applicare l’articolo 650 del codice penale, che recita: «Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206».

Fonte Corriere della Sera

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