E il quinto giorno, l’uomo si riposò: la settimana lavorativa breve aumenta la produttività?

di Saveria Russo – L’adozione della settimana corta è il frutto di un iter che deve coinvolgere gli organi collegiali, ognuno con gli specifici compiti di competenza: è un successo ovunque, mentre in Italia si continua a lavorare di più e (anche) peggio.

Ritornare a lavorare come si faceva prima dell’arrivo del Covid-19, richiederà del tempo: un po’ per via delle, seppur poche, restrizioni ancora in atto, un po’ per la resistenza di alcuni a voler tornare negli uffici, ma anche perché la nostra prospettiva sul lavoro è cambiata notevolmente.

La pandemia ha, infatti, portato a un inevitabile aumento della flessibilità sul posto di lavoro (lo stesso OMS ha dichiarato che lavorare troppe ore nuoce gravemente alla salute) e ha, contemporaneamente, messo in luce i problemi di stress causati dal superlavoro, senza parlare della crisi e della disoccupazione: per molti, la ripresa da un arresto senza precedenti è diventata così l’opportunità di attuare un cambiamento radicale.

Ridurre la settimana lavorativa: l’Islanda dimostra che è possibile

Proprio su questa scia, sempre più persone propongono di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni.

Quello dell’accorciamento della settimana lavorativa non è un concetto nuovo, ma solo negli ultimi anni è diventato oggetto di conversazione e, addirittura, una pratica molto popolare, soprattutto dall’arrivo del Coronavirus.

Settimana corta, salari invariati, nessun calo di produttività: l’esperimento islandese che è stato reso noto in questa estate, sembra il sogno di ogni lavoratore, un dibattito che si diffonde sempre di più in Europa.

E’ possibile ridurre l’orario di lavoro senza danni salariali per i dipendenti, “acciacchi” al datore di lavoro e ripercussioni sulla produzione?

Sembra un sogno e invece in Islanda è già realtà: dal 2015 al 2018, circa 2.500 impiegati del Comune di Reykjavik sono stati al centro di un esperimento di implementazione della settimana lavorativa corta, passando da 40 a 35 ore di impiego totali.

La rivoluzione ha preso avvio nel 2015, quando sindacati, imprenditori e i vertici del Comune della capitale islandese si sono seduti al tavolo per trovare un accordo su una riduzione delle ore di lavoro, al fine di concedere un’ora di tempo libero in più al giorno agli impiegati, lasciando però invariati gli stipendi.

Quattro anni dopo, i risultati dello studio certificano il successo dell’esperimento: costi aziendali ridotti, produttività aumentata considerevolmente, maggiore soddisfazione dei soggetti coinvolti, più tempo per la famiglia e per l’esercizio fisico, con importanti benefici dal punto di vista della salute e una netta riduzione dello stress, nonché maggiore equità di genere nei lavori domestici.

I dati sono stati così sorprendenti da convincere il Comune di Reykjavik, a metà 2020, a estendere la riduzione dell’orario a tutti i dipendenti pubblici, e da pochi mesi anche ai privati che ne faranno richiesta.

Il prossimo obiettivo potrebbe essere la settimana lavorativa di quattro giorni. Una possibilità che è già attiva in alcuni paesi e grandi aziende nel mondo.

Gli altri casi: il Giappone, la Scozia e la Spagna

L’esperimento islandese, però non è il primo: infatti, nel 2019, la sede giappone di Microsoft aveva testato la settimana lavorativa di quattro giorni per 2.300 dipendenti, e la cui produttività era aumentata quasi del 40% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre i costi aziendali erano stati ridotti.

A questi sorprendenti risultati, si erano aggiunti i feedback positivi ricevuti dai dipendenti: il 92,1% di loro aveva dichiarato di preferire la settimana lavorativa corta a quella tradizionale e lo studio è andato così bene che adesso il Giappone ha chiesto alle imprese di implementare soluzioni di questo tipo per contrastare il drammatico fenomeno del “karoshi”, ovvero le morti causate dal troppo lavoro.

Con questo modello, sono diversi gli Stati che stanno cercando di mettere in atto questo cambiamento e, tra questi, c’è il Regno Unito: il governo scozzese sarà il primo del Paese, introducendo per la prima volta una settimana lavorativa di quattro giorni. È una mossa che 9 dipendenti del governo scozzese su 10 sostengono, con il sindacato PCS – tra i più grandi del Regno Unito – che afferma che l’attuazione dei cambiamenti mostrerà ai lavoratori la possibilità di un futuro migliore post-pandemia.

Anche la Spagna, con uno stanzionamento pubblico di 50 milioni di euro, ha attivato, a partire da febbraio scorso, l’esperimento della settimana lavorativa di 32 ore distribuite nell’arco di 4 giorni.

Ma quali sono i benefici di una settimana lavorativa di quattro giorno? E’ tutto rose e fuori o ci sono anche dei “ma”?

Trovare un modo per equilibrare lavoro e vita privata, è sempre stata un’impresa ardua: questo perché si lavora di più di quanto si pensa o di quanto viene richiesto.

Secondo diverse ricerche, una settimana lavorativa di soli quattro giori ha molti vantaggi: in primis ridurre le ore di lavore, riduce anche lo stress dei dipendenti e avere dipendenti meno stressati e più felici non fa che aumentare la produttività ed, inoltre, aumenta il coinvolgimento e la motivazione dei dipendenti.

Ci sono sempre dei ma però: nonostante i vantaggi, introdure una settimana lavorativa di quattro giorni non è cosa facile, soprattutto perché ci sono barriere pratiche e, soprattutto, ideologiche che rallentano questo cambiamento (un esempio sono le aziende che dipendono da un solido servizio clienti: in questo caso, meno giorni possono avere un impatto negativo sulla soddisfazione del cliente).

E l’Italia, invece, cosa fa?

Cosa accade invece in Italia?

La settimana lavorativa corta, in realtà, esiste anche nel nostro paese: alcune aziende, infatti, hanno introdotto la settimana di lavoro da 36 o 32 ore a fronte dello stesso stipendio per i propri dipendenti (è il caso di due grandi aziende internazionali con sede anche a Milano: la Carter&Benson, che si occupa di consulenza strategica e head hunting, e Awin Italia, attiva nel campo del marketing).

Ma si tratta, però, di casi rari ed isolati: l’andamento generale nel nostro Paese va, in realtà, verso un continuo aumento delle ore lavorative, agevolato dallo sviluppo dello smartworking e delle nuove tecnologie, che permettono ai datori di lavoro di raggiungere i propri dipendenti ovunque e a qualsiasi ora, con cali di assunzioni e di performance dei dipendenti, e con la progressiva erosione dei diritti dei lavoratori.

In Italia, ad oggi, il confronto politico e sindacale non ha portato a risultati o cambiamenti degni di nota in merito a questo tema, anzi, i dati più recenti mostrano un peggioramento delle condizioni dei lavoratori nel mondo, in generale, e nel nostro paese, in particolare.

È interessante constatare che a maggior quantità di ore di lavoro non corrisponde affatto una crescita dei livelli di produttività: l’Italia, infatti, si posiziona in fondo alla classifica che misura la crescita dei livelli di produttività, calcolata tra il 2010 e il 2016 e sempre in Italia, in particolare, non solo sono sempre meno le persone che lavorano, ma si lavora anche troppo. Il 50% dei lavoratori italiani afferma che negli ultimi anni si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità.

E’ necessario un cambiamento: èarrivato il momento giusto per invertire la rotta, mettendo al primo posto la salute e la dignità dei lavoratori.

 

Segui il nostro laboratorio di giornalismo al femminile LaSettimanaTV – Continua a seguirci su Facebook, su InstagramTwitter e Waveful! Ricevi tutte le notizie sul tuo cellulare iscrivendoti al canale Telegram.

Scopri gli ultimi aggiornamenti cliccando qui.