Era una volta, alle nozze d’argento dei suoi genitori, un bambino che iniziò a cantare sulle note di “O treno d’ sole” di Mario Merola e “Papa è Natale” di Patrizio. A metà degli anni Ottanta, insieme a Gigi D’Alessio, Maria Nazionale e Ciro Ricci, fu uno dei pionieri del movimento neomelodico, diventando la sua figura di punta quando incontrò i 99 Posse, Peppe Lanzetta, Marcello Colasurdo e, soprattutto, quando incise l’inno contro il razzismo, “Cuore nero”. Da quel momento, il ragazzo di Secondigliano ha percorso una lunga strada, diventando un’icona nazionale dell’urban music, tanto da vincere due David di Donatello grazie alle canzoni scritte per i film “Song ‘e Napule” e “Ammore e malavita” dei Manetti. Ed ora è qui, vestito come se fosse uscito da “Matrix”, nello stadio partenopeo (anche se non si è raggiunto il tutto esaurito annunciato, ci saranno comunque trentamila spettatori presenti, un numero notevole), un privilegio riservato a pochi artisti, soprattutto tra i suoi concittadini.
La voce dell’Anima che risuona al Maradona
Quella canzone, più di tutte le altre, anche se meno famose e meno belle, spiega cosa sta accadendo stasera al Diego Armando Maradona, perché Franco è così emozionato, perché il suo pubblico è così orgoglioso e felice: “O tiempo va e nun me faccio accatta’, io so’ sempe chille, chille ‘e tant’anne fa”. Potrebbe sembrare retorico, specialmente ora che Ricciardi vive a Posillipo, ma sembra vero, almeno plausibile. Se accettiamo la credibilità di strada di rapper e trapper provenienti da origini ben più borghesi, perché non credere a Francuccio di via Marche, la strada in cui è nato e cresciuto?
Lui, insieme alla sua band, con la chitarra di Diego Leanza in evidenza, parla attraverso l’urlo iniziale di “167”, con le sue storie del Bronx napoletano ante litteram, prima di Saviano e dei suoi imitatori. “Madama blu”, che finì nella colonna sonora di “Gomorra – La serie”, crea immediatamente un cortocircuito temporale, il sound diventa sempre più moderno, ma è la verità del linguaggio, della voce che ha un sapore di tufo e di ruggine, che non cerca di essere bel canto, ma canto di vita, voce interiore, narrazione dell’anima.
Canzoni da matrimonio, canzoni da festa in piazza e canzoni da stadio? Può darsi, ma per Franco sono semplicemente “canzoni”, lui non fa distinzioni, non crede che il pubblico pagante di stasera meriti di più e di meglio di quello che lui va ad applaudire senza chiedere soldi, ma che conosce a memoria i suoi versi. Così, propone “Je” dal suo ultimo album, e “Prumesse” (rivisitata in chiave rap da Enzo Dong), “Malammore” e “Te voglio troppo bene” (con Andrea Sannino, che intona anche “Abbracciame” e commuove con il coro dei 30.000), “Chiammale” e l’iniezione di mandolini che accompagna il suo racconto familiare e la rilettura di “Nun me lassa’”, “Madre” e “Male”. Cantare “La mano de dios” in questo stadio è davvero emozionante: “e guagliune cantavano o’nomme, e je steve perso into ò peggio d’ ‘suonne”, riflette nei versi il campione di tutti i tempi. La Niña è un’apparizione sensuale in “Tu”, “So semp chille” finalmente offre una chiave di lettura completa. Ma il pubblico non ha bisogno di spiegazioni, i “ricciardiani”, giovani e meno giovani, vogliono solo cantare, ballare, sudare, segnare gol nello stadio addobbato a festa, segnare gol a nome di Secondigliano e di tutte le periferie.
Tra Pop, Rock e Elettronica lo stile di Ricciardi
Il sound è contemporaneo, internazionale, ma anche in modo moderno “napulegno”, unisce il pop, il rock, l’elettronica, l’azzardo post-melodico. I testi raccontano l’amore, il disagio, le storie di vita. Lo spettacolo è colorato, forse non un colosso, ma regge il confronto con le grandi produzioni che caratterizzano l’estate canora italiana. Su “Vulesse” fanno la loro comparsa D-Ross & Startuffo, su “Magari questa notte” c’è Clementino, per l’apoteosi di “Cuore nero” si presenta un coro gospel, che torna anche in “A verità”, raccontando dall’interno la solitudine e la fine di un boss. “Mia cugina” è il ritorno ai suoi esordi, al lato neomelodico, a quell’ipotesi che a molti non è mai andata giù, di un pop glocale e mai snob, immediato, astuto, genuino. La chiusura con “Treno”, impreziosita dal flow di Rocco Hunt, ci ricorda che su quei binari del riscatto sono già passate le locomotive guidate da Massimo Ranieri, Nino D’Angelo e Gigi D’Alessio. Sono talenti, non confrontabili perché i talenti non vanno mai confrontati, ma sono partiti anch’essi “dalla parte sbagliata”, per così dire: della città o della canzone, guardati con sospetto dalla società “bene” e dalla cultura “alta”. E hanno segnato gol preziosi. E segnare al Maradona, si sa, non è come segnare in un altro stadio: “Guagliu’, ce l’abbiamo fatta, il nostro sogno è qui”, spiega Franchettiello di Secondigliano.