L’International Monetary Fund applaude l’Italia della Meloni

  • Articolo di Biagio Fusco

L’International Monetary Fund, un’organizzazione pubblica a carattere universale, composta dai governi nazionali di ben 190 Paesi del Globo terrestre e che insieme alla Banca Mondiale rientra tra le Bretton Woods, a proposito dell’Italia si mostra ottimista rispetto alle stime di crescita del prodotto interno lordo, che per il 2023, ancora in corso, secondo i dati elaborati dagli analisti esperti del settore finanziario dovrebbe guadagnare un più che dignitoso 0,7 % di margine aggiuntivo. Il quadro previsionale favorevolmente calcolato con riferimento alle performance della italian economy spinge il FMI fino a consigliare al governo Meloni di insistere sulla strada delle riforme, anzi di optare per interventi normativi sempre più ambiziosi e coerenti con la scelta (già fatta) di incrementare lo sviluppo, puntando sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I

l banco di prova che tanto dirà sulla capacità del nostro Paese di recepire i suggerimenti che provengono da organismi internazionali, più o meno indipendenti e laici come il FMI, è rappresentato sicuramente dall’approvazione della prossima manovra finanziaria, dalla quale ci si attende qualche significativo segnale di sostegno alle categorie imprenditoriali maggiormente incise dai provvedimenti restrittivi del periodo pandemico e dal vertiginoso e recente innalzamento dei tassi inflattivi che hanno reso non accettabili i costi energetici legati all’approvvigionamento delle materie prime. Nel complesso tutta l’Eurozona rallenterà in percentuale il suo ritmo nell’aumento del valore della produzione di poco sopra un punto, fermandosi al 1,3 %, e cioè 1,4 % in meno a differenza del 2022, benché il dato migliorerà nel 2024 salendo ad un timido 1,5 %. Non ci sarebbe gran che da preoccuparsi, si potrebbe affermare, se non fosse che proprio l’inflazione pare si attesterà al 6 % per questa fine d’anno per poi registrare una precipitazione verticale fino alla soglia di un più rassicurante 2,6 %, circostanza questa ampiamente auspicata e non solo pronosticata dagli operatori della finanza europea ma soprattutto dai governi nazionali dell’Unione.  

Sull’argomento il FMI fa sentire la sua voce ascoltata, attraverso il parere del direttore del Dipartimento europeo, Alfred Kammer, il quale raccomanda alla Meloni: “ Abbiamo consigliato al governo italiano di anticipare l’aggiustamento e di essere più ambizioso, nonché di pensare anche a riforme di bilancio strutturali e favorevoli alla crescita, che non sono previste nella bozza di bilancio 2024 “. Una vera e propria revisione delle intenzioni manifestate dal nostro esecutivo con lo schema di legge, con tanto di invito al ravvedimento all’insegna di un prevalente coraggio nella implementazione di misure che garantiscano un potenziamento della produttività interna. Era ovvio che almeno un passaggio dell’economista europeo, sia pur di sfuggita, sull’andamento di attuazione del PNRR, sarebbe stato scontato, e dunque non poteva mancare una esortazione rivolta all’Italia affinchè riesca ad organizzare, secondo criteri consoni e metri di valutazione validi che spetterà alla politica individuare ed applicare ai casi concreti, una spesa razionale ed equilibrata dei fondi confluiti all’interno del Next Generation EU, uno strumento temporaneo in dotazione alla finanza pubblica che contiene un pacchetto di risorse economiche del valore di 750 miliardi di euro, assai importante sul breve e medio periodo.

L’instabilità dei prezzi conseguente ad un evento inflattivo, innescato dal conflitto militare tuttora in atto tra Russia ed Ucraina richiede del tempo, sulla base dell’esperienza storica pregressa, se si vuole che inverta la propria rotta e ritorni ai livelli di normalità, tuttavia essa dimostra di aver già avviato un percorso di graduale calo dei suoi indici. Stessa sorte è ipotizzata dal FMI per i tassi di sconto bancari, i quali, in linea con un orientamento di politica monetaria restrittiva, conserveranno per volontà della BCE ed ancora per un po’ valori nominali piuttosto elevati per raggiungere un consolidamento fiscale prima che termini il ciclo del suo inasprimento.