Napoli – Ancora una volta, il sangue scorre per un motivo assurdo: un pestone su un paio di scarpe griffate. A Napoli, la violenza tra i giovani continua a mietere vittime, e questa volta la tragedia ha colpito il ventenne Santo Romano a San Sebastiano al Vesuvio. Un episodio che, purtroppo, richiama alla mente un altro omicidio avvenuto nel 2021 a Mergellina, quando Francesco Pio Maimone perse la vita in circostanze simili.
Protagonista di questa storia, Luigi D.M., un diciassettenne di Barra, ha confessato l’omicidio di Romano con parole disarmanti. “Mi hanno calpestato le scarpe, sono di Versace, le ho pagate 500 euro e mi sono arrabbiato,” ha spiegato il giovane agli inquirenti. Queste parole rivelano un quadro allarmante di valori distorti, dove il rispetto si misura attraverso il possesso di beni di lusso e dove uno sgarbo, anche involontario, può trasformarsi in tragedia.
Gli inquirenti hanno rilevato che la sera dell’omicidio, dopo l’incidente con le scarpe, Luigi D.M. si sarebbe giustificato sostenendo che la vittima e i suoi amici avrebbero tentato di aggredirlo, colpendolo addirittura con un pugno e mostrando un coltello. In risposta, il giovane ha estratto una pistola e ha sparato, colpendo mortalmente Santo Romano, ferendo un altro giovane e sfiorandone un terzo.
Secondo i documenti dell’ordinanza, firmata dal giudice per le indagini preliminari, la dinamica dell’omicidio si inserisce in una spirale di violenza e senso di impunità. Un’ora prima del delitto, infatti, il ragazzo aveva già minacciato un altro giovane puntandogli la stessa pistola sotto il mento. Una dimostrazione di come, tra i giovani coinvolti in ambienti criminali, portare un’arma sia quasi una consuetudine nelle serate nei luoghi della movida napoletana.
Le azioni successive all’omicidio non fanno che accrescere i dubbi sulla versione difensiva del giovane. Luigi D.M. ha raccontato di aver perso la pistola tra la folla ai Baretti di Chiaia e di aver rotto e gettato la scheda telefonica in un tombino. Comportamenti che sembrano contraddire la sua dichiarazione di non essersi reso conto della gravità di quanto accaduto, ma che per il giudice dimostrano invece una chiara consapevolezza dei fatti.
Il gip del Tribunale dei Minorenni di Napoli, Anita Polito, ha motivato la detenzione del diciassettenne ritenendo “inadeguata ogni altra misura cautelare meno afflittiva,” considerato il contesto e la difficoltà della famiglia nel controllare il comportamento deviante del figlio. Nell’ordinanza, il giudice ha sottolineato come Luigi D.M. sembri avere collegamenti con ambienti criminali capaci di fornirgli un’arma, il che aumenta la pericolosità del ragazzo e la sua lucidità nel gestire la situazione post-crimine.
Questa tragedia porta alla luce un dramma culturale e sociale dove il rispetto della vita viene subordinato all’apparenza e all’ostentazione di uno status symbol, anche a costo di passare per la via della violenza.