A Pianura, quartiere occidentale di Napoli, nelle ultime ore si è consumato un episodio tanto simbolico quanto carico di tensione: don Antonio Coluccia, sacerdote noto per il suo impegno antimafia, è tornato nella roccaforte dello spaccio controllata dal clan Carillo-Perfetto e, armato solo di un megafono, è entrato nella “piazza” dello spaccio gridando un monito forte e inaspettato: “Solo Dio è perfetto”. Il risultato è stato fulmineo: i pusher sono fuggiti, il silenzio ha preso il posto delle voci e le pietre delle strade hanno assistito all’ennesima sfida alla paura e all’omertà. Il gesto: quando un uomo abbatte il muro della paura Don Coluccia, già noto in varie periferie italiane per le sue azioni coraggiose contro lo spaccio, non è all’esordio. Ma il gesto messo in atto ieri sera assume una forte valenza simbolica. È tornato a Pianura dopo circa tre anni dall’ultima sua “irruzione” nella stessa zona, con il chiaro intento di scuotere le coscienze e interrompere un ordine criminale radicato.
La piazza del Rione Cannavino, in via Evangelista Torricelli, è sempre stata considerata “territorio” del clan Carillo-Perfetto, capace di esercitare controllo attraverso lo spaccio e la paura. Don Coluccia – senza scorta, solo con il suo corpo, la sua voce e il megafono – ha attraversato quella zona, si è fatto sentire, ha urlato più volte la frase “Solo Dio è perfetto”, come una precisa dichiarazione: chi agisce male non può arrogarsi perfezione. Al suo arrivo i pusher hanno avuto reazioni diverse: alcuni si sono nascosti tra i porticati, altri si sono dileguati in velocità, altri ancora sono fuggiti nelle vie laterali. Il “fuggi fuggi” è diventato la risposta. Il potere del clan è stato, almeno per un attimo, scosso da un uomo che non porta armi ma porta parole. Quando le forze dell’ordine sono arrivate sul posto, hanno trovato una scena di deserto: nessuna battaglia, nessun ferito, nessuna rivendicazione — solo la piazza vuota e i residenti affacciati, increduli. Un’azione che parla più di tante denunce Questo episodio non è soltanto cronaca: è una lezione politica, civile, spirituale. Don Coluccia richiama due piani inseparabili: quello dell’azione concreta e quello della coscienza.
Da un lato, l’attore: un uomo che decide di non restare a guardare, che decide di infrangere il silenzio. Dall’altro, il messaggio: non basta condannare, occorre reclamare il territorio anche con la voce, con la presenza, con la faccia. La sua azione, breve ma incisiva, ha ridotto in frantumi l’illusione che la camorra resti invincibile. Quel megafono è diventato un’arma di coro per la comunità. È un gesto che chiama la reazione civile dei cittadini: non delegare, non abituarsi, non restare in silenzio. Il gesto manda un segnale preciso: non è più tempo di arretramenti morali. La piazza, un giorno interamente consegnata allo spaccio, può essere riconquistata — non con la violenza, ma con la dignità.Reazioni, perplessità e implicazioni Le reazioni del quartiere sono molteplici. Residenti e famiglie che da anni convivono con l’incubo quotidiano dello spaccio e delle microestorsioni hanno assistito all’evento con stupore, incredulità e speranza. Molti sono usciti sul balcone per capire cosa stesse succedendo. Alcuni – testimoni di un’abitudine ormai radicata – non sanno ancora se credere a quel momento come a uno squarcio reale o effimero.
Tuttavia, la domanda che aleggia è inevitabile: durerà? Così come in tante altre realtà, il potere della camorra è resiliente. Basta poco – una risposta armata, intimidazioni, ritorsioni – per ricostituire il dominio silenzioso. In questo senso, l’azione di don Coluccia è solo l’inizio, non la fine. Serve continuità, presenza istituzionale, impegno delle forze dell’ordine e soprattutto dei cittadini. L’azione del sacerdote può essere letta anche come una richiesta: “Non lasciatemi solo”. Non è un’operazione isolata: se dietro c’è solo un uomo, rischia di essere spazzata via. Se diventa segno condiviso, può modificare rapporti di forza. Alcune perplessità sorgono naturalmente:Cosa può fare lo Stato per capitalizzare quel momento?Quanto è vulnerabile un uomo che si espone in prima persona?Quale protezione può esserci per chi decide di non arretrare? Il rischio di solo effetto mediatico è concreto, se non seguito da una strategia strutturata. Il contesto: clan Carillo-Perfetto e il dominio dello spaccio Il clan Carillo-Perfetto è un soggetto criminale consolidato nella zona di Pianura, con una struttura territoriale ben radicata e capacità di controllo sociale.
Le sue “piazze” spaccio sono parte di un sistema che copre frammenti di quartieri popolari, palazzine e porticati, vie laterali trasformate in corridoi dello stupefacente.Negli scorsi anni, azioni di dissuasione — blitz, arresti, operazioni delle forze dell’ordine — hanno cercato di intaccare questo dominio. Ma chi controlla lo spaccio non è solo chi distribuisce droga: è chi costruisce paura, chi fa omertà, chi tira le fila del consenso per interposta persona.Don Coluccia ha scelto di rompere quella catena invisibile: la paura, la sudditanza, l’assenza delle istituzioni. È entrato nella zona di dominio convinto che quella terra non sia “terra di nessuno”, ma parte di una comunità che ha diritti da recuperare.











