La strada delle riforme istituzionali, quella che porta al Premierato

 

  • Articolo di Biagio Fusco

Tira un’aria riformista in Parlamento. Il respiro, però, è pesante nei corridoi della sede del potere legislativo, viste le richieste esose avanzate dalle varie forze in campo. C’è chi, come il Terzo Polo, reclama a gran voce una maggiore centralità politica ed un potere di più ampie dimensioni e diramazioni in capo al Premier, un po’ come quello che investe i sindaci col sistema di elezione diretta, oramai inaugurato con la legge n. 83 nel lontano 25 marzo 1993 e che oggi appare anche troppo ben rodato. Ebbene, sul tavolo delle riforme dei giorni nostri la discussione è incentrata tutta sull’opzione del Premierato, una parola che sembra semplice da pronunciare ma che racchiude non pochi ed indistricabili, nodi se ci si sofferma sulla comprensione del suo significato sostanziale. Da non confondere col  presidenzialismo, un “ parente stretto ” che invece prevede la elezione diretta del capo dello Stato. Tajani di FI, attuale vice Meloni, ponendosi da una prospettiva che presta maggiore attenzione alla salvaguardia della mediazione politica piuttosto che all’opinione scientifica che, invece, preferirebbe ragionare sulla opportunità della implementazione di una tale revisione della nostra Carta costituzionale, è convinto che, per evitare disarmonie e distonie nella maggioranza, “ il premierato potrebbe essere la soluzione più gradita alle forze presenti in Parlamento ”.

 

Sarebbe saggio capire prima quali sono però le variabili e le grandezze, all’interno delle quali si muove oggi il dibattito, dal momento che il progetto di mutamento costituzionale incontra anche il favore e la disponibilità delle opposizioni, affascinate sicuramente da uno scenario nel quale il Premierato italiano è progettato e declinato in varie tipologie di render, tutte quanto meno non scartabili a priori. Specularmente, sarebbe interessante sapere a questo punto quale sia l’idea che ha in mente il centrodestra per modificare in parte la forma di governo attualmente vigente in Italia. Ebbene, si può senz’altro affermare che la maggioranza vuole un Premier legittimato direttamente dal suffragio del popolo, onde evitare la formazione dei soliti governicoli, fragili e farraginosi, che spesso hanno o vita breve o arrivano alla fine del quinquennio legislativo con enormi stenti e non senza attraversare turbolenze, che li rendono inefficaci ed inconcludenti.

 

A ben ricercare, non esiste un modello simile nelle democrazie occidentali, a livello europeo, se non fosse per un esempio che però appartiene al passato non recentissimo e che fu sperimentato in Israele nel 1996 ed accantonato appena sei anni dopo. Il primo sponsor italiano del Premierato diretto è il Terzo Polo, che ha radicato la propria persuasione sulla base dello schema di meccanismo elettorale dei sindaci, tant’è che immagina provocatoriamente di sostituire alle espressioni oggi in uso quali “ Premier, Primo ministro e Presidente del Consiglio ” addirittura quella di “ Sindaco d’Italia ”; probabilmente perché nei sindaci qualcuno del Terzo Polo (affetto da miopia) riconosce uno standard garantito di stabilità politica e sul punto permettetemi di esprimere qualche perplessità personale (priva comunque di autorevolezza). Ma anche nel centrodestra non manca chi si dedica alla pesca nell’archivio storico, un po’ come fanno in genere gli stilisti che rivisitano il passato in chiave moderna, di qualche esempio pregresso, colto nel periodo compreso dal 1994 al 2008, stagione politica in cui il Cavaliere, forse precorrendo i tempi come sua solita e lungimirante abitudine, portò le coalizioni che si fronteggiavano in campagna elettorale ad indicare prima del voto, sia pure in assenza di una norma costituzionale od ordinaria cogente che lo imponesse e per di più in via semplicemente programmatica, il candidato premier. Un “ cult “ che più si avvicina al paradigma di Premierato potrebbe essere di certo l’esemplare britannico.

Nel Regno Unito infatti non è prevista l’elezione diretta del capo di governo, ma questi è per consuetudine, prassi e logica politica il leader del partito che ha ottenuto più voti alle elezioni e dunque gode di una forma di legittimazione popolare, benchè un avvicendamento alla guida interna del partito più votato e quindi più rappresentativo potrebbe, però, condurre ad una surroga del premier stesso anche senza elezioni anticipate, così come è accaduto, con i cambi di titolarità dal voto del 2019,  a Johnson, Truss e Sunak.. Purtroppo, la necessità avvertita nel nostro Paese, affrontata ma senza addivenire mai ad una risoluzione definitiva del problema, è dettata dai numeri statistici, che dicono in modo inequivocabile che la nostra Repubblica in 75 anni ha conosciuto ben 68 governi, i quali hanno avuto una durata media di 14 mesi ciascuno. Un dato è certo, si guarda sempre all’estero, tanto in casa della Regina quanto in quella tedesca, dove il capo del governo federale gode della fiducia costruttiva come di un vero e proprio scudo; in alternativa, si tiene d’occhio il presidenzialismo d’oltralpe, dove il popolo è veramente sovrano ed elegge direttamente Macon e gli conferisce una sorta di ruolo esclusivo in termini di indirizzo politico anche nell’assunzione di impegni internazionali.