Maresciallo D'Arminio

Afragola ricorda il maresciallo Gerardo D’Arminio?

Il flebile ricordo dell’efferato omicidio del maresciallo D’Arminio

La sera del 5 gennaio 1976 ad Afragola – come accade sempre il giorno prima della Befana – i negozi erano ancora aperti e affollati. Il maresciallo Gerardo D’Arminio, rientrato tardi da lavoro, era in Piazza Gianturco con Carmine, il figlio più piccolo, per fargli un regalo: una bicicletta. Neanche il tempo di prenderne in mano la canna che, dalla capote di una Fiat 500 gialla che passava per la piazza, ne uscì un’altra: quella di un fucile.

Erano le ventuno e quindici e D’Arminio fu raggiunto da una scarica di otto pallettoni che gli si conficcarono tra il collo e la spalla. All’ospedale Loreto Mare giunse cadavere.

Passato al nucleo operativo a Napoli, caserma Pastrengo, per suoi meriti investigativi, Gerardo D’Arminio fino a qualche mese prima aveva comandato la stazione dei Carabinieri di Afragola e qui rimase ad abitare fino alla sua morte. Nato a Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno, il 12 dicembre del 1937, Gerardo D’Arminio aveva poco più di 38 anni quando fu ucciso.

Suo figlio Carmine, che di anni ne aveva solo 4, vide e sentì tutto: prima la mano del padre lasciare la sua, poi il corpo cadere, il sangue, le urla della gente. La famiglia che li aspettava a casa, invece, apprese la notizia alla televisione.  Si trattò del primo caso accertato nel nostro territorio di vittima innocente della criminalità: su quella fiat 500 gialla si trovavano esponenti del clan Moccia e dell’omicidio si auto denunciò Vincenzo, l’ultimo dei fratelli, minorenne all’epoca dei fatti.

La commemorazione a 43 anni dalla scomparsa

commemorazione D'Arminio

Le istituzioni in ricordo del maresciallo Gerardo D’Arminio

Ieri, 5 gennaio 2019, a 43 anni dalla sua scomparsa, ciò che resta di quella famiglia è tornata sul luogo della sua barbara uccisione per rendere onore alla sua memoria. La commemorazione si è svolta in due momenti: prima la Santa Messa celebrata da don Tonino Palmese presso il santuario dei Sacri Cuori; poi la corona d’alloro a piazza Gianturco, proprio sotto al busto di bronzo realizzato in suo ricordo dai ragazzi dell’Istituto Sereni.

Insieme ai parenti, non sono mancate le istituzioni: il sindaco Claudio Grillo con il vice Biagio Castaldo, alcuni collaboratori e consiglieri comunali, il capitano dei carabinieri Francesco Filippo, gli uomini della stazione di Afragola, la Polizia Locale, la Guardia di Finanza, la protezione civile, il responsabile dell’associazione arma Carabinieri locale giunti da Montecorvino Rovella.

Qui c’è ancora tanto da fare” ha, tuttavia, affermato Don Tonino Palmese (chiamato da Maria Saccardo, responsabile della sezione locale di Libera contro le mafie). Inevitabile il riferimento alla confusa situazione attuale: quello delle 7 bombe in 12 giorni dietro cui sembra esserci l’ombra del racket.

Le versioni dell’omicidio raccontate negli anni

Ma se è vero che, come scriveva Sciascia, “Il più grande difetto della società italiana è quello di essere senza memoria”, non ne è esente la società afragolese. Scarsa, infatti, è stata la partecipazione cittadina nonostante quel busto di bronzo sia ancora lucido. Svelato nel maggio del 2016 (quella volta con una grande partecipazione di pubblico), ci sono del resto voluti 40 anni per avere un busto che ricordasse il Maresciallo Gerardo D’Arminio in quella piazza.

40 anni in cui voci su voci si sono succedute (e ancora si succedono) nonostante, per la giustizia italiana, ci siano stati un processo e una condanna con una pena di 11 anni, grazie agli attenuanti per la giovane età, a Vincenzo Moccia (ucciso, però, appena uscito di galera in una faida di camorra).

Fin da subito si disse che l’obiettivo dell’agguato non fosse D’Arminio, ma un affiliato al clan nemico degli afragolesi, un tale Luigi Giugliano. Secondo alcuni il Maresciallo ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, secondo altri stava addirittura parlando con Giugliano, soprannominato “il boss dagli occhi di ghiaccio”, quasi a suggerire  un rapporto d’amicizia tra i due mai confermato da alcuna prova.

A un passato recente risalgono le dichiarazioni dell’ex killer della Nco Pasquale Scotti (detto ‘o collier), secondo il quale i Moccia volevano uccidere uno di quel clan ma per errore uccisero il maresciallo e fecero poi arrestare Vincenzo per una scelta strategica anche se – sostiene il collabortore di giustizia – il responsabile era un altro fratello (di cui ha fatto il nome alla dda).

Medaglia d’argento al valor militare

Tra incertezze o inesattezze, resta però una verità incontrovertibile: il maresciallo D’Arminio era un investigatore di razza, destinato ad una carriera importante all’interno dell’Arma. Lasciate giovane campagne di Montecorvino si arruolò a soli 20 anni e, al momento della sua uccisione, vantava 18 anni di carriera e un fascicolo personale ricco di encomi solenni. Aveva prestato servizio a Chieti, Isernia, i piccoli paesini della Sicilia e Palermo. Qui rimase 4 anni e venne promosso maresciallo non per anzianità ma per merito: fu tra coloro i quali parteciparono attivamente all’arresto di un importante boss palermitano, Michele Cavataio, calandosi nella botola che conduceva al nascondiglio segreto del boss.

Fu ucciso ad Afragola e alla sua memoria è stata assegnata la medaglia d’argento al valor militare.