Alta velocità, una sfida che si può ancora vincere

di Antonio Iazzetta* – Ormai mancano un paio di mesi e poi la stazione dell’alta velocità di Afragola diventerà qualcosa di più di un progetto e si comincerà a capire di cosa stiamo parlando da oltre venti anni, da quei primi convegni promossi dal Centro studi Loris Fortuna presieduto da Michele Iazzetta, sul finire degli anni ‘80, quando si cominciava a parlare di Alta velocità e della possibilità di costruire una stazione nel territorio dell’area a Nord di Napoli. Da allora ne è passato di tempo ed è stato detto di tutto e di più. E, spesso, sono state dette e scritte tante, troppe, inesattezze e anche oggi ci sarebbe bisogno di maggiore chiarezza, una chiarezza che s’è deciso di abbandonare quando si chiuse l’ufficio Tav di Afragola dove c’era anche un continuo contatto con i media, soprattutto locali. Un contatto che poteva essere utile per evitare la confusione che ancora esiste intorno alla stazione dell’alta velocità, a cominciare dalla bufala che Afragola abbia avuto la stazione grazie a Bassolino mentre l’allora Sindaco di Napoli si battè strenuamente per portarla a Volla perché riteneva quella scelta più utile per il capoluogo, commettendo anche lui l’errore di consderare la stazione di Afragola come la sostituta della centrale di Napoli. La realtà e gli obiettivi invece sono ben diversi perché la stazione progettata da Zaha Hadid dovrà essere la porta dell’alta velocità da e per il Sud. E, in attesa del completamento dei lavori per la linea Napoli – Bari e oltre, non è certo destinata a diventare una stazione isolata perché potrebbe essere usata da una popolazione di oltre due milioni che di certo la preferirà a quella di Napoli se deve spostarsi verso il Sud o verso il Nord visto che avrà a disposizione parcheggi, praticamente inesistenti nel capoluogo, e una maggiore accessibilità con mezzi propri. Detto questo, però, è innegabile che ci sono stati ritardi inaccettabili, non tanto nella costruzione della stazione, per la quale s’è dovuto far fronte al fallimento del raggruppamento di imprese che s’era assegnato il primo appalto, quanto per quel che doveva e dovrà esserci intorno. E non mi riferisco solo ai collegamenti con Napoli e con il resto d’Italia, che possono anche essere recuperati, quanto invece allo sviluppo intorno alla stazione. In questi anni, sembra quasi che le Amministrazioni comunali che si sono susseguite, ma anche quelle provinciali e quelle regionali, non abbiano creduto davvero che la stazione sarebbe stata costruita. Altrimenti non si spiega perché non si è provveduto a progettare almeno qualcosa intorno a quella stazione, qualcosa che andasse al di là delle buone intenzioni espresse in campagna elettorale o nel corso di un’intervista o di un convegno. E la cosa più grave è che non ci si è neanche preoccupati di evitare il proliferare di ville e capannnoni, alcuni anche “licenziati”, costruiti con tanto di autorizzazione. Quando sono andato a fare il sopralluogo alla stazione Tav, al di là della mancanza di collegamenti per la stazione, al momento raggiungibile solo attraverso strade di campagna, quel che mi ha colpito è la presenza di tanti immobili che, nei fatti, limiteranno ogni tentativo di creare qualcosa di utile intorno alla stazione. Quelle costruzioni potrebbero rappresentare un ostacolo, quasi insormontabile, per ogni piano di sviluppo e diventare simboli dell’incapacità a programmare, un po’ come è accaduto con l’asse mediano che non è stato ancora completato a distanza di quasi quarant’anni dalla sua progettazione anche perché il percorso è ostacolato da case più o meno abusive. Le prossime settimane dovranno essere usate non solo per organizzare l’inaugurazione della stazione, ma anche e soprattutto per tentare di recuperare, in parte il tempo perso. La sfida è difficile, ma si può ancora vincere, anche se il tempo a disposizione è quasi finito e non sono ammessi altri ritardi

*direttore Cogito – editoriale n° 402 del 18 marzo 2017