La metamorfosi della Napoli calcistica

Diciamoci la verità, il nostro meravigliarci alle continue metamorfosi dell’undici iniziale del nostro Napoli è dovuta ad una oggettiva e concreta disabitudine. La storia calcistica napoletana ci ha mostrato margini e dimensioni ben definiti. Oltre al calcio totale di Luis Vinicio, il quale risultò un’autentica esplosione di novità, abbiamo assistito a dettami tattici che rispettavano una propria linearità e gerarchia ben precisa. Pesaola, Marchesi, Bianchi, Bigon, Ranieri, Boskov, solo per citarne alcuni. La cultura internazionale ci è stata importata da Rafa Benitez ma ne avevamo completamento perso l’usanza.

NON E’ BELLO CIO’ CHE E’ BELLO MA E’ BELLO CIO’ CHE PIACE

Il solco sarriano, spartito unico, maniacale ma straordinario in quanto a bellezza. Preciso, maniacale e assimilato a memoria, con delle necessità tattiche da dover necessariamente espletare. Con lui non ci saremmo mai sognati di vedere seduti in panchina, contemporaneamente, Callejon, Hamsik, Hysaj. Giocatori indispensabile per la mole di gioco del suo Napoli. Oggi quello che più stupisce è che tutti i calciatori impiegati da Carlo Ancelotti sembrano trovarsi a proprio a suo agio. Autoritari, duttili, con un’affinità calcistica che va sempre più delineandosi. L’imprevedibilità e il trasformismo di una squadra che non dà punti di riferimento e riesce a sfruttare le qualità dei suoi terminali d’attacco. Vincere e convincere, cambiando 9 uomini e relegando nuove mansioni a calciatori che riescono a svolgerla con una discreta disinvoltura, non è proprio una roba da poco. Specie contro un Parma che ha dato filo da torcere alla Juventus e vinto in quel di San Siro contro l’Inter. Fabian Ruiz in cabina di regia defilato sull’out di destra, interscambiare Milik ed Insigne, farli scalare per poi accentrarli e riposizionarli pedissequamente in fase di non possesso. Per non parlare del camuffato centrocampista di sinistra (Zielinski o Verdi) che taglia e si incrocia con il movimento senza palla della prima punta. In gergo cestistico potremmo paragonarlo al Passing Game, una soluzione propedeutica più adatta allo specifico avversario. Non risultare identificabili: questo è l’obiettivo prefissato da Mister Ancelotti. Un collaudo basato sul giusto equilibrio, questo che – comunque vada – sarà un anno di transizione per la squadra partenopea. Forse una svolta epocale, quella che sta cercando di mettere in atto il pluridecorato allenatore emiliano, potenziando le caratteristiche della rosa, con meno meccanica ma con più fantasia e maggiore responsabilità collettiva.

SI VA ALL’ALLIANZ STADIUM

Sabato pomeriggio non sarà una partita qualsiasi. Ogni anno ci facciamo man forte nell’autoconvincerci di un processo di maturità mentale che probabilmente non arriverà mai. La nostra passionalità non ce lo consente. Una rivalsa (calcistica, politica) che ha radici profonde e che farà da seguito all’indimenticabile match del 22 aprile scorso. Dove per una sera i rapporti di forza si invertirono, spazzati via nel preciso istante in cui Kalidou Koulibaly schiacciò di testa il gol della vittoria. Non rinfango ma non dimentico, quel che poteva essere ma non è stato. Tocca ai veterani di questo gruppo infondere le giuste motivazioni a chi, delle nuove leve, non ha fatto parte di quella spedizione. Tocca al capitano Hamsik, al carismatico Insigne e a tutti i guerrieri di quella magica notte, far rivivere quelle sensazioni di pura follia che Napoli potette assaporare.