Che la chiave di volta del prossimo Governo a guida Meloni sia proprio la Lega

di Biagio Fusco – Tira un’aria pesante in casa dell’ex Carroccio. Chissà che la “ pietra acconciata ” che sostenga con funzione strutturale l’architrave del prossimo Governo targato Meloni &Co. non si riveli proprio la Lega di Matteo Salvini che di sicuro non appare alle prese con la giustificazione di quel fardello che è certamente il poco entusiasmante risultato elettorale del 25 settembre, avendo raccolto oltre 3 milioni di consensi in meno rispetto al 2018 ed essendosi fermato ad uno striminzito 8,8 % di percentuale. Ad ogni modo, resta comunque una forza di maggioranza, senza la quale la Giorgia nazionale abbandonerebbe i sogni di gloria tanto ambiti, dopo qualche decennio di leale e costante militanza politica e coerenza nel tenere una posizione sempre strettamente a destra nell’arco costituzionale. La nota scritta dai leghisti parla chiaro, senza remore: “ Per la Lega sarebbe motivo di grande soddisfazione e orgoglio occuparsi con un ruolo rilevante anche di Economia e Finanze “. Se a tanto si aggiunge la rivendicazione della presidenza di una delle due Camere, è possibile supporre che tutto ciò conduca lontano da un’intesa già raggiunta sulla spartizione delle poltrone, rappresentando una autentica novità politica la esplicita richiesta dei dicasteri economici, considerate le nubi minacciose che si addensano nei cieli dell’economia europea per questo autunno – inverno, e dunque con tutte le questioni spinose ed i nodi critici che concentreranno l’attenzione dell’agenda di governo. Fino a pochi giorni fa Salvini, infatti, in modo sbrigativo rispondeva così a chi gli chiedeva contezza di probabili aspirazioni ad occupare il Mef o il Mise: “ Con i chiari di luna in arrivo, meglio tenersi a distanza ”, salvo poi cambiare approccio e raggio d’azione rispetto a tali opzioni così come si legge da un comunicato leghista in cui si dice: “ È un onore che in queste ore arrivino nuovi e significativi riconoscimenti che testimoniano la centralità e l’affidabilità della Lega “. Con ogni probabilità, però, dietro questo improvviso cambiamento di rotta della Lega si muovono le fila di un differente ragionamento politico, che trae origine dalla secca indisponibilità a ricoprire gli incarichi, incassata in queste ore dalla Meloni da parte di una elite di tecnici super quotati, i quali l’hanno costretta a virare sul nome di Giancarlo Giorgetti rifiutando la onorevole proposta con alibi per la verità alquanto poco credibili. Il leghista comunque godrebbe del gradimento anche di Ignazio La Russa, che si abbandona ad un vero e proprio endorsement quando di lui scrive: “ Anche il generale delle forze armate potrebbe fare. Giorgetti potrebbe fare tutto, è un mio amico ”. Ma – come anticipato – le maglie in casa Lega sono più che intricate, anzi piuttosto “ infeltrite “ da vecchie ruggini e nuove acredini, sorte inevitabilmente con l’esito del voto conosciuto alle ultime elezioni. A questo punto, ci si interroga sull’ampiezza e sul fondamento della fiducia accordata al proprio leader dalla sua base interna, in molti sono pronti a giurare che Matteo non riuscirebbe a conservare la sua posizione in un eventuale congresso che si tenga a breve. Al di là della nota ufficiale, filtra gran freddezza dalla regia del partito, testimoniata dalle parole di uno dei suoi “ dignitari “ di rango, il quale liquida la vicenda in maniera netta: “ Il Mef non è né una nostra richiesta né un nostro desiderio. Se non hanno altri nomi, prego. Ma dovrebbe essere in più rispetto a quello che ci spetterebbe. Anche perché «non vogliamo finire come con Draghi, dove le scelte erano del premier ma poi le pagavamo noi “. Un dato è assolutamente certo, nessuno al suo interno intende arretrare di un solo centimetro dalla convinzione che alla Lega spetterebbe per “ diritto elettorale ” (trascurando il fatto di aver giovato in termini di successo finale del traino di FDI, senza il quale oggi sarebbe all’opposizione o chissà dove) o la Presidenza del Senato o il Viminale, se non entrambe le cariche, tutto ciò per dare un’impronta propria di concreto indirizzo al nuovo esecutivo. Intanto Salvini saggiamente ascolta la sua compagine politica, ricevendo a turno tutti i suoi più alti esponenti tra cui Giancarlo Giorgetti, Lorenzo Fontana, il capogruppo Riccardo Molinari, l’ex ministra Giulia Bongiorno, per intavolare sull’argomento un aperto confronto che possa poi consentirgli di affrontare il tema con gli altri leader della coalizione. La strategia è chiara e nemmeno tanto nascosta, dare cioè protezione alle figure apicali di riferimento attraverso l’occupazione di posti chiave al Ministero dell’Interno, al Copasir, alla Difesa etc. Ne è prova l’orientamento offerto in merito dalla corrente salviniana che non si attarda a manifestare una considerazione che apre lo spazio a significative considerazioni di carattere politico: “ Non possiamo essere in completa balia del primo sostituto procuratore a caccia di notorietà “. In altre parole, senza un posto d’onore alla lega non si fa il Governo.