Gli operatori vinicoli di Irpinia e Sannio preoccupati dalle decisioni Usa

«LE CONSEGUENZE SARANNO NOTEVOLI. L’EXPORT, COMPRESO QUELLO DELL’OLIO, PER IL 70 PER CENTO È DIRETTO OLTREOCEANO

I dazi imposti dalla Casa Bianca all’Unione europea impensieriscono gli operatori del vino di Irpinia e Sannio. Secondo una elaborazione della Camera di Commercio Irpinia-Sannio su base Istat il valore delle vendite verso gli Usa ammonta a quasi 9 milioni di euro per una quota di mercato che supera il 30 per cento del totale export.

Gli Stati Uniti, infatti, rappresentano la prima destinazione in valore per l’export dei vini di Irpinia (nel 2024 le esportazioni hanno toccato i 7 milioni di euro, in crescita del 25,9 per cento rispetto all’anno precedente) e per quelli del Sannio (1,85 milioni di euro, +27,5 sul 2023).

«Credo che l’impatto dei dazi americani sarà notevole per l’agroalimentare irpino-sannita, in quanto l’export di vino e olio d’oliva, nel suo insieme, per il 70% è diretto negli Usa» commenta Girolamo Pettrone, commissario straordinario Camera di Commercio Irpinia Sannio.

La presidente del Consorzio tutela Vini d’Irpinia, Teresa Bruno, confida nella missione al Vinitaly per promuovere il territorio e vini che «sono storia e sorpresa contestualmente. Occorre ora individuare mercati alternativi come il Giappone, senza per questo dimenticare l’Italia, dove dovremmo concentrare nuove strategie di marketing».

Sul versante del Sannio Consorzio Tutela Vini, il presidente Libero Rillo è attendista e lancia un appello alla catena di approvvigionamento per evitare che si inneschino delle speculazioni che possono essere paradossalmente ancora più dannose dei dazi: «Bisognerà trovare accordi con gli importatori e capire quale sarà l’impatto effettivo dei dazi, perché su una bottiglia media di 5-6 euro, che poi è il prezzo medio del nostro prodotto in Usa, un dazio di 1,20 dollari non sarebbe di per sé un problema.

Se però i maggiori dazi dovessero portare a un aumento del prezzo della bottiglia a ogni passaggio fra tasso di cambio euro/dollaro, trasporto, sdoganamento, fino ad arrivare al ristorante, allora avremmo un incremento sensibile dei costi, penalizzando la penetrazione dei nostri vini sul mercato statunitense».