Dall’Anfield Road ad Anastasio, la coscienza della Napoli moderna

La settimana del tutto o niente, da una Napoli impetuosa dello ‘Spacchiamo il mondo’ fino alla sua presa di coscienza. E’ passata, o quantomeno lo sta facendo. Passa attraverso sillogismi e frasi imperfette, dal crocevia di sentimenti annaspati e del verbo ricorrente. Passa e fa rumore, molto più di quanto dovrebbe. Passa attraverso congetture che covano e che non dovrebbero appartenerci. Rimbomba attraverso sfoghi impropri e ruggini nascoste. Una settimana di odio riversato a chiunque cerchi di arrestarne l’insofferenza, ma anche per chi prova esprimere sentimento per questa maglia. Soprattutto per chi ha sofferto nel non riuscire a vedere una via d’uscita per la propria squadra. Per chi era presente a quel Liverpool-Napoli, per chi faceva a botte con il susseguirsi di emozioni. Molteplici emozioni. Quelle di cui non puoi averne controllo perché hanno il sapore della verità. Quelle che non puoi nascondere e che non ne puoi fare a meno. Perchè nella società moderna il non riuscire a trattenere le lacrime è diventato una colpa, un chiaro ed evidente segno di debolezza. Propendere per la propria squadra è diventata una lotta intestina, atta all’unico scopo di non destarne imbarazzo. Perché se ti lasci andare per un solo istante rischi di diventare l’oggetto di una critica feroce e impellente. Come quella rimarcata e francobollata a Mario Rui e Elseid Hysaj, sentenziati come capri espiatori della resa dell’Anfield Road. Ma cosa siamo diventati?

IL SENSO DI APPARTENENZA

L’eliminazione da una competizione barattata come un Giudizio Universale, come narra Marco Anastasio, cantante rap originario di Meta di Sorrento e vincitore della gara canora di XFactor. La fine del mondo, un’inedito il suo che dovrebbe far scalpore, la distruzione di un’idea, di un simbolo dell’immaginario comune. Quello a cui non siamo e non saremo mai rassegnati ad accettare. Un ragazzo che prima della notorietà di questi giorni aveva scritto un elogio canoro a Maurizio Sarri, decantandone principi e valori. Noi no, non ci riusciamo, preferiamo fare confronti insensati con la passata stagione, attraverso scriteriate tabelle e percorsi di manifesta irrazionalità.  Un ragazzo che nonostante la sua tenera età rimpiange di non aver vissuto l’epoca del Napoli di Maradona. Ma che vive attraverso il suo mito, attraverso il suo genio e la sua ribellione. Quella sincera, quella di rivalsa contro i poteri forti e annessi abusi, non quella sbattuta in faccia e vomitata attraverso i social network.

Questo non è sostegno verso la propria squadra, è soltanto arrogarsi l’insensato diritto di versare il proprio dissenso fregandosene della sensibilità e dei sentimenti altrui. Ma si continua nel farlo, si persevera nel tenere il punto e la virgola per cercare lo scontro e il disappunto. Tenetevi le vostre verità perché a me non servono. Per quanto mi riguarda Napoli resta una terra d’amore, non della discordia.