L’Europa boccia il calcio italiano: Napoli e Juventus rispedite a casa

Il declino del calcio italiano in Europa è oggetto di discussione da tempo inoltrato. Quest’anno sul banco delle imputate sono andate la Juventus, complice il non aver superato lo scoglio olandese dell’Ajax nei quarti di Champions, nonostante gli auspici di una milionaria campagna acquisti, che ha avuto in Ronaldo il suo elemento principe, e il Napoli, eliminato anch’esso ai quarti di finale di Europa League dall’Arsenal. La sconfitta rientra nei rischi di questo sport ma come tale va analizzata per cercare di ridurne il numero e la frequenza. Juventus e Napoli sono società gestite in maniera diversa e, soprattutto, con potenzialità diverse. Ragion per cui le analisi da effettuare sono distinte e separate.

UNA JUVENTUS ANCORA TROPPO ‘ITALIANA’

Specie negli ultimi anni, la società presieduta da Andrea Agnelli ha ridotto notevolmente il gap con i maggiori top club europei. Grazie al cospicuo lavoro svolto in questi anni, la società di Vinovo occupa il 5° posto nel ranking delle squadre per club e l’undicesimo in quella dei ricavi societari. Dove gli investimenti non sono mancati è forse mancato la predisposizione ad un gioco più creativo e meno pragmatico. Un’atteggiamento che corrispondesse maggiormente ai canoni del calcio europeo e meno conservatore, come invece risulta ancora vincente nel campionato italiano. Non è un caso che l’ultima Champions League alzata da una squadra italiana sia stata l’Inter di Josè Mourinho, il quale depose le sue idee tradizionaliste per un calcio più articolato e lo portò a conseguire il suo secondo successo nella massima competizione per club.

LA STRATEGIA DEL NAPOLI NON HA RESO PER QUANTO AUSPICATO

La sconfitta è il risultato di una strategia societaria, non del singolo evento. Certo, il Napoli è comunque la seconda forza del campionato, a conferma di quanto di buono sia stato fatto in questi ultimi anni. Ma la notevole distanza dalla Juventus capolista ha imposto a squadra e società di dirottare nell’Europa League il principale obiettivo. Il Napoli non è stato eliminato giovedì sera, ma da una programmazione errata che, inevitabilmente, ha finito con inficiarne i risultati. Se la politica societaria non prevedeva alcuna operazione di mercato nella sessione invernale non si sarebbe dovuto acconsentire a nessuna cessione. L’addio anticipato ad Hamsik rimane ancora oggi un mistero da svelare. Non solo perché ci si è privati di un calciatore simbolo di questa squadra, ma di una valida alternativa da sfruttare in esperienza e affidabilità. L’uscita di scena dell’ex capitano ha compromesso gli equilibri basilari di questa squadra, con inevitabili ripercussioni sull’andamento della stagione.

RUOLI NON APPROPRIATI

I calciatori che più ne hanno patito le conseguenze sono stati Allan e Fabian Ruiz . Il primo, dopo lo scossone subito per il mancato passaggio al PSG, si è ritrovato nell’assumere un ruolo innaturale per le sue caratteristiche: da cursore ruba palloni a play di centrocampo. Fabian, calciatore dalle indubbie prospettive, non ha di certo reso come nella prima parte della stagione, quando il suo compito spaziava ‘naturalmente’ tra il centrocampo e la trequarti. Situazione che ha destabilizzato non poco le certezze assunte dalla nuova gestione condotta da Ancelotti. I contraccolpi sono stati quelli di sottrarre le reali identità di gioco ad un condottiero come Allan e il mancato svezzamento per il giovane Fabian. Non solo, la scelta di cedere Hamsik è stata preceduta dal prestito di Rog al Siviglia. Scelte che, alla luce dell’infortunio di Diawara, unico centrale di ruolo a disposizione, è risultata tanto nociva quanto imprudente. 

DIMENSIONE DEL CALCIO ITALIANO

Ancora una volta assisteremo ad un finale di stagione senza squadre italiane nel contendersi un posto in finale di una competizione europea. Si esce male, risultando inferiori alle avversarie sia per la cultura calcistica che per mentalità. Le prime due della classe del campionato italiano spazzate via senza alcun appello che possa tenere banco. Affidarsi al singolo campione o ad un collettivo basato sulle ripartenze, di certo, non ci induce in un percorso calcistico evolutivo. Si esce male e lo si evince dal fiato corto che hanno manifestato nella seconda parte della stagione. Con una condizione atletica che non ha garantito la sua interezza. Qualche settimana fa ci si poneva il quesito di un campionato italiano poco allenante che non consente di poter competere a certi livelli in campo europeo. Ma è il torneo ad essere poco competitivo o è retrogrado il nostro modo di concepire il calcio? Nello sport, come nella vita, non è la sconfitta a renderci colpevoli, ma, piuttosto, riuscire a contemplarne il conseguimento.