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Anche l’Italia nella lista dei paesi ostili fatta dalla Russia

«Ce lo aspettavamo»: così il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha commentato l’annuncio del governo di Mosca di aver inserito l’Italia nell’elenco degli Stati “ostili”. E poi ha aggiunto: «Siamo tra i Paesi che dopo l’invasione russa dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin ha reagito con sanzioni che in questo momento stanno andando a colpire gli oligarchi e i super ricchi russi. La Borsa di Mosca è stata chiusa, il rublo ha perso il 30 per cento del suo valore e 15 mila cittadini russi sono stati imprigionati per aver manifestato per la pace. Questo da il senso di come Putin stia isolando la Russia dal resto del mondo». La lista comprende tra gli altri gli Stati Uniti, i Paesi Ue, la Gran Bretagna, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Svizzera oltre che ovviamente la stessa Ucraina.

Ma quali conseguenze può avere l’inserimento del nostro Paese nell’elenco? Il governo, sulla base delle indicazioni provenienti dalla diplomazia e dai servizi di intelligence, negli ultimi giorni ha analizzato tutte le possibili “ritorsioni” che Mosca può mettere in atto. Dalle materie prime all’energia, dal ruolo delle aziende italiane che operano in Russia alle banche, ecco quello che potrebbe accadere nel medio e lungo periodo.

Rientro in patria degli italiani

Il 6 marzo l’ambasciata italiana a Mosca ha pubblicato sul sito un avviso in cui «si raccomanda fortemente a tutti i connazionali presenti nel Paese, la cui presenza non sia essenziale, di organizzarsi tempestivamente per spostarsi dalla Federazione Russa o rientrare in Italia con i mezzi commerciali ancora disponibili e di informarsi sui requisiti sanitari per il transito in Paesi esteri». L’Unità di crisi della Farnesina è attivata per l’assistenza di chi si trova in difficoltà.

Il rilascio dei “visti”

Il rischio imminente è che le autorità di Mosca decidano di negare il visto agli stranieri o comunque di sospendere quelli già attivi. Per questo viene raccomandato il rientro in Italia.

Rimborsi in rubli

Le aziende dei Paesi presenti nella lista nera sarebbero rimborsate dei loro crediti in rubli, anziché nella moneta nella quale il prestito era stato inizialmente esteso o il pagamento era stato previsto nei contratti commerciali. Nel caso dell’Italia e degli altri Paesi europei la moneta prevista dai pagamenti era quasi sempre l’euro e dal 16 febbraio scorso, cioè dall’inizio della fase più tesa dell’aggressione all’Ucraina, il rublo si è già svalutato del 45% sull’euro. Sul piano finanziario si tratta dunque di un default di fatto da parte delle entità russe verso i loro creditori, perché essi saranno ripagati in una valuta che ha già perso molto valore e altro ancora ne perderà sicuramente in futuro. Da parte dei russi questa è una manovra che cerca di mascherare l’enorme difficoltà provocata dalle sanzioni occidentali che congelano le riserve in euro, dollari e sterline della banca centrale di Mosca. L’istituto di emissione non è più in grado di fornire valuta forte alle imprese perché queste ultime possano far fronte ai loro pagamenti all’estero e le imprese stesse vedono ridursi fortemente le loro entrate in dollari o euro, perché ormai i mercati esteri sono loro preclusi. Dunque la banca centrale russa può solo stampare rubli e fornirli alle imprese, che con quelli pagheranno i creditori italiani, tedeschi o francesi. Ma l’aumento della massa monetaria in rubli a sua volta contribuisce alla svalutazione e all’inflazione.

L’esposizione delle banche

Le banche italiane sono le prime in Europa per il volume lordo delle esposizioni sulla Russia: 25,3 miliardi di euro al 30 settembre 2021, secondo la Banca dei regolamenti internazionali. Va anche detto che le banche italiane sono anche quelle in Europa che, in proporzione, hanno ridotto di meno la loro esposizione sulla Russia dopo la prima aggressione all’Ucraina nel 2014. Le banche tedesche e francesi invece hanno molto tagliato le loro posizioni nel Paese.

Grano e mais

L’inclusione nella lista dei Paesi “ostili” potrebbe generare conseguenze anche per il mercato delle derrate agricole. Russia e Ucraina insieme rappresentano circa un quinto del commercio mondiale di mais e una riduzione delle esportazioni può contribuire ad un aumento dei costi degli allevamenti, con conseguenze su tutta la catena alimentare. La Russia da sola pesa per il 6% del grano tenero che arriva nel nostro Paese e queste vendite ora saranno bloccate. Con un effetto aggravato in queste ore dal blocco all’export nel resto del mondo decretato dall’Ungheria per ragioni di sicurezza alimentare: ma l’Ungheria rappresenta il 30% delle importazioni di grano tenero dell’Italia (usate per il pane e i derivati, ma poco per la pasta) e il 32% delle importazioni di mais.

L’energia

Da giorni il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro degli Esteri Di maio hanno avviato trattative con alcuni Stati – primi fra tutti Algeria e Qatar – per strade alternative alla fornitura di gas e di energia se la Russia dovesse decidere di chiudere i rubinetti anche solo parzialmente. Al momento la minaccia implicita della Russia rimane sullo sfondo anche se per il momento sembra improbabile che Putin decida di imboccare questa strada, perché la Russia ne sarebbe la prima vittima: il gas naturale oggi è la sua prima fonte di entrate e una delle poche rimaste, con oltre 200 miliardi l’anno alle sue quotazioni attuali; e l’Europa è la prima cliente con oltre l’80% delle esportazioni russe di gas, una realtà difficilmente modificabile dato il ruolo essenziale delle infrastrutture esistenti di trasporto. Non ci sono abbastanza gasdotti per deviare le forniture destinate all’Europa verso la Cina, per esempio. Tagliarci il gas naturale, per Putin, sarebbe l’ultimo atto di un leader ormai in preda a una visione apocalittica del proprio ruolo.

Attacchi hacker

Da giorni l’Agenzia della cybersicurezza ha allertato le aziende e gli enti governativi sui possibili attacchi informatici. Al momento la rete di protezione ha funzionato ma l’allerta rimane altissimo soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture e le reti sanitarie.

FONTE CORRIERE DELLA SERA

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